Intervista a Hertzen

Onorati di avervi su system failure. Come vi siete conosciuti? Potete parlarci del vostro progetto musicale? Come è nato?

May: Grazie a voi per questa opportunità. Io e Marcelo ci siamo conosciuti nel 2017 in un forum di appassionati di synth e musica elettronica. Cercavo in realtà da tempo un maestro, ma anche un producer e band partner con cui collaborare. Comincio a prendere lezioni a distanza e da subito, tra una lezione e l’altra, iniziano a nascere idee. Nel 2018, convinco Marcelo a raggiungermi in Germania, dove attualmente vivo. Iniziano così le prime produzioni, video e concerti in piccoli locali. Dopo tre anni, siamo qui con ‘Ananke’ che per me è prova di una collaborazione riuscita.

Come prende forma una vostra canzone? Ci parlate del processo creativo alla base?

Self: Dipende. In genere, comincia con una melodia o un riff, ma a volte può essere una linea di basso, un beat che creo. Oppure, semplicemente un suono che ispira tutto il mood della canzone e poi, da lì, completo con un beat, con una melodia e così via.

May: Comincia che Marcelo crea un beat, una melodia e si parte. Se mi piace, comincio subito a cantarci su e a scrivere. Passiamo così diverso tempo in studio fino a quando il tutto prende forma. Non riuscirei davvero a pensare ad una collaborazione a distanza. C’è tanta magia nel processo di creazione di una canzone, soprattutto all’inizio. Credo sia la fase più emozionante di un’intera produzione. Insomma, input parte da lui e poi intervengo io. Mi piace l’idea che la composizione sia nelle sue mani, ruolo che invece io ho la possibilità di avere nel mio progetto da solista, May Rei.

Un sintetizzatore usato. Come ti può cambiare la vita? Che strumentazione usate per la vostra musica? Quali programmi?

May: La cambia, sì. Come credo avvenga con qualsiasi altro strumento. È una fase in cui si ha voglia di creare ed esprimere un proprio stile, la propria musica, ma è anche una fase di conoscenza e di approccio alla musica diverso, più tecnico. Dopo il synth usato, arriva il primo vero acquisto, un Korg MS20 Mini, un semimodulare tutto da studiare. La mia scoperta continua poi con l’acquisto di un kit Preen FM2 (che io stessa saldo e assemblo), di un Gakken, di pedali. Le mie composizioni vere e proprie cominciano però con l’uso delle DAW. Ammetto però che continuo a sognare uno studio con sintetizzatori ovunque.

Self: Ogni volta che provo una nuova melodia e un basso uso sempre un synth freeware emulator del DX7 controllato da una keyboard Reface DX, dato che il mio DX7II è ancora in Brasile. Il DX7 è fantastico se si cerca un piano elettrico, un Clavinet o un basso particolare, un organo Hammond, archi e flauti di un Mellotron e altri suoni vintage, così come rumori campionati o suoni sequenziati, arpeggiati, simili a quelli dei modulari. È un classico usato da Prince, Kraftwerk, Atari Teenage Riot, Vince Clarke e molti altri, non importa se pop o underground.Poi, per le batterie, texture, ed effetti uso suoni campionati. Alcuni suoni tipici di string machine (il suono italiano degli anni ‘70/’80) sono stati fatti con un emulator del Korg Poly800. È un altro synth degli anni ‘80, molto sottovalutato, costruito su un chip che veniva usato negli arcade videogame! Alcuni ne parlano male, ma se valeva qualcosa per Vangelis, Orbital, Jean Michel Jarre, Tangerine Dream e altri, credo vada bene anche per me. L’unica canzone dell’album in cui ho usato suoni analogici è, perché volevo quel tipo di sonorità vintage e dance. Ancora, per le batterie, una cosa che ho sempre fatto è quella di unire una vera batteria acustica e delle percussioni con suoni di rumori (elettronici, organici o meccanici) campionati, e qualche rhythm box analogico vintage come la TR808, quella che rese famoso Marvin Gaye e tanti altri artisti R&B, miami bass, rap, house, dance, ma anche rock band come The Sisters of Mercy e persino roba più decisa come Prodigy e gruppi witch house. Per farla breve, anche se tutta la produzione di “Ananke” è stata concepita ‘in the box’ – senza un equipment audio costoso, aggeggi analogici o marchingegni giurassici – comprende un´intera collezione di suoni con cui sono cresciuto, dai music box e suoni cheesy anni ‘80 di una Casio, fino ad un piano rotto, a pedali scadenti, ‘tape loops’, vecchie drum machine e così via.

May Rei fonda la sua etichetta indipendente, Einklang Records, come leggo dal comunicato stampa. May quali sono le difficoltà maggiori che oggigiorno deve affrontare un`etichetta indipendente?

May: Devo ammettere che gestire una label non è facile. Richiede costanza, dedizione, tempo e altre qualità che in parte credo di avere, ma non basta. Ci vuole tanta esperienza. Devo anche dire che gestire solo due progetti (May Rei ed Hertzen) è di gran lunga più facile. La mia label nasce in realtà da una grande esigenza di indipendenza (soprattutto creativa). Volevo creare un mio mondo in cui mi sarei potuta sentire libera di creare musica senza vincoli e senza troppi giudizi esterni. Indipendenza significa però dover fare tutto da soli senza il supporto di nessuno. Non so predire il futuro di Einklang Records e sinceramente, non mi pongo troppe domande adesso. Penso solo ai nostri prossimi lavori.

Ancora una domanda riservata a May: hai frequentato scuole di canto o hai fatto tutto da sola?

May: Non ho frequentato scuole di canto, ma ho preso lezioni da artisti che stimo tanto provenienti da background diversi (jazz/pop, soul, opera). Il ruolo di cantante è parte fondamentale della mia carriera musicale. Confesso però che il ruolo di produttrice mi piace tanto. È la visione d’insieme qui che fa la differenza.

Ananke, il nuovo album. Ci parlate della genesi di questo album? Di cosa parlano le canzoni?

May: “Ananke” ha preso forma col tempo. È un album che ci ha visti crescere, maturare nello stile, inizialmente molto technopop e industrial. È una collezione di pezzi realizzati in questi ultimi due anni che definiscono il nostro stile eclettico, ma comunque riconoscibile. Durante il lockdown abbiamo prodotto tanto, ma già prima avevamo tanto materiale. Sono pezzi di un puzzle che parlano di vita e di morte, di difficoltà, ma anche di coraggio e di libertà.

Quale canzone preferite dell`album?

May: Difficile rispondere a questa domanda. In ogni canzone c`è una parte di me, perciò mi riesce difficile scegliere. Credo però di avere un debole per “Holy Mary” con i suoi alti e bassi, i suoi meravigliosi archi e l’assolo di chitarra.

Self: Domanda difficile, ma direi “Heaven”. L´intera canzone, il beat, il mood, le note, tutto è nato in pochissimo tempo. Adoro l’atmosfera, così bella, sofisticata, misteriosa e inquietante allo stesso tempo. Anche la struttura, così semplice, nonostante le dissonanti e gli ornamenti. May ha fatto un ottimo lavoro con testo e voce, come in tutte le canzoni. Ma in questa lei riesce a cogliere particolarmente bene il mood, davvero.

Cosa potete dirci della copertina di “Ananke”? Cosa rappresenta?

May: Cercavamo una parola che potesse rappresentare al meglio il nostro percorso fino al completamento delle canzoni, ma soprattutto la nostra dedizione costante e quasi ossessiva per la musica. Un bisogno inarrestabile, difficile da fermare. Una possibilità, se vogliamo, che in fondo riesce a pacare i nostri animi, a far dimenticare le nostre angosce, almeno per un po’. E questo l´abbiamo trovato nella parola ‘Ananke’. La falena è simbolo di trasformazione e rappresenta la nostra ananke. Il messaggio è quello di accogliere i cambiamenti e di pensare che la libertà sia dietro l´angolo.

Self: All´inizio May pensava a qualcosa tipo una farfalla. Sai, la fragilità, il cambiamento. Ero d’accordo, ma poi ho pensato che le falene abbiamo più o meno lo stesso significato e qualcosa in più: l’inesorabile ricerca della luce. Sono attratte dalla luce, fino a morirne. Credevo potesse andare bene con il titolo dell’album e con tutto il concept. Così, io ho realizzato la grafica e May la copertina.

Cosa unisce tutte le vostre canzoni?

May: Di sicuro le sonorità un po’ dark, qualche volta cinematiche e il ritmo un po’ dance. Su questo, per fortuna, io e Marcelo andiamo molto d’accordo.

Self: Non mi piace molto quando un album presenta delle tracce ripetitive nel ritmo, nei suoni. La sfida è di sicuro quella di mantenere una certa continuità. Ma credo che alla fine non importi neanche tanto dei ritmi e delle sonorità, poiché sono riuscito ad esprimermi nelle melodie e armonie. Anche May contribuisce a dare continuità. Ho cercato di non nascondere la sua voce con l’uso di effetti o altro, così, indipendentemente dal pezzo, sai che c’è qualcosa di familiare. Non ci si perde insomma, anche se ogni canzone racconta una storia diversa.

Quali sono i vostri progetti futuri?

May: Con una label indipendente è difficile essere lungimiranti, per non parlare poi dei tempi difficili che stiamo attraversando dovuti alla pandemia. Il primo è sicuramente quello di lavorare su nuove produzioni sia per Hertzen che per May Rei (mio progetto da solista). Si spera, poi, di avere qualche concerto.

Self: Nuove canzoni, sì, certamente! Alcune sono già in fase di produzione. In realtà, ne avevamo già una ventina pronte. È tra queste che poi abbiamo scelto le tracce per l’album. E poi, dei live. Ci piacerebbe fare dei veri concerti, e non esibizioni in streaming come se ne fanno di questi tempi.

Come avete elaborato il vostro sound che sembra tanto eclettico anche se comunque ascrivibile al genere electro?

May: Abbiamo impiegato circa un anno prima di ottenere un sound del tutto nostro. Abbiamo prodotto, ma abbiamo anche cestinato. In realtà, credo che questo sia un processo che duri molto più a lungo. Per quanto riguarda l’ecletticità dell’album, diciamo che ci aspettavamo questi risultati. Le nostre influenze sono numerose. Questo ha sicuramente influito sulle nostre scelte. Il vantaggio poi della musica elettronica è proprio quello di avere a disposizione diversi strumenti a portata di mano. Non ci siamo fatti mancare niente, insomma.

Self: Per tanti anni ho lavorato come sound engineer per grandi artisti e band (Demi Lovato, Williams Pharrell, Dead Kennedys, Maria Bethania, Arto Lindsy, ecc). Ho imparato tantissimo da loro. Credo che sia per questo motivo che l’album sia così vario, per le influenze che ho avuto. E poi, perché mi piace l’idea di pensare che io stia scrivendo una soundtrack per un film, cercando di esprimere ogni tipo di mood in base alle scene. L’approccio elettronico offre quella libertà mentre si produce, anche se immagino sempre un ensemble diverso per ogni canzone. Un’orchestra qui, un trio jazz lì, rock band e dj prima, o semplice musica da keyboard elettrica dopo. Diverse personalità, insomma.

Per finire, salutate i nostri lettori e raccontateci un aneddoto particolare della vostra carriera artistica….

Self: Potremmo raccontare tante storie sull’intera lavorazione dell’album, dall’inizio alla fine. È stato un percorso molto lungo ed entrambi abbiamo imparato molto nel processo, anche perché tutte le canzoni avevano un approccio diverso per quanto riguarda la composizione, la produzione e il missaggio. Non tutte le storie erano però così stimolanti, nemmeno divertenti. Ad esempio, una volta ho cancellato l’intera traccia di “Fools for Love” dopo una discussione. Per fortuna, ho avuto modo di recuperarlo!

May/Self: Ancora grazie per questa intervista. Un grande saluto al team e a tutti i lettori di System Failure!

Web links:

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1 thought on “Intervista a Hertzen

  1. Grazie a System Failure per questa bella intervista 👍🙂 Conosco da un po’ di tempo la musica degli Hertzen, e di May rei da solista, e condivido al 100 % il loro modo di trattare la voce di May rei, con solo qualche accenno di eco, ma solo quando serve alla coerenza interna di un pezzo 📀😎 sono davvero bravi, indipendenti e creativi, da seguire e promuovere 📀👌😎

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