Intervista a Emmeffe

Qui(link) abbiamo recensito Emmeffe(pagina facebook) con il suo album elettronico strumentale auto-prodotto che porta il titolo “Trust”. Lo abbiamo anche intervistato. Leggete cosa ha da dire…

Benvenuto su System failure. Puoi parlarci un po’ della tua musica? Quando e come hai iniziato a fare musica?

Ciao System Failure e grazie per l’intervista. Facevo musica già da bambino, creavo piccoli brani suonando uno strumento alla volta mediante due registratori a cassetta, uno riproduceva una parte che avevo già registrato e mentre suonavo la nuova parte l’altro registrava. Certo, la qualità del risultato non era un granché ma era il mio primordiale multi-traccia e io ne ero molto felice. Creo musica utilizzando l’elettronica ma è cosa abbastanza recente perché provengo dal mondo del rock. Per questo l’elettronica riguarda più che altro l’estetica mentre i brani possono attingere da generi diversi come il rock stesso, la classica, il prog, il funky e a tutto ciò che fa parte del mio bagaglio musicale. Attraverso l’elettronica voglio comunque stimolare l’immaginazione di chi ascolta, evocare scenari, ambientazioni.

Quali sono le band o gli artisti che ti ispirano?

Per fare dei nomi ti direi Jon Hopkins, Stephan Bodzin e Cristian Loeffler. Ma ascolto di tutto e le ispirazioni possono arrivare anche da artisti che nulla hanno a che fare con l’elettronica come i Tool, Miles Davis o l’ultimo incredibile album di David Bowie.

Cosa vuoi trasmettere con la tua musica?

Con la mia musica vorrei innanzitutto invitare le persone a prendersi una pausa, a prendere respiro e rifiatare, ad uscire da quell’incessante e tumultuoso scorrere del tempo per ritagliarsi degli spazi dove il tempo si arresta nel momento presente. Oggi tutto va di corsa e corre anche la musica, si consuma in fretta, vuole mettersi in mostra facendo vedere i muscoli o sparandola più grossa. Voglio trasmettere che c’è altro: le pause, i silenzi, il vuoto, il tempo per se stessi.

Come prendono vita le tue canzoni? Che tipo di ambiente crei per te stesso quando scrivi una canzone?

Abito in una valle e ho la fortuna di poter aprire le finestre e vedere davanti a me le montagne e i tetti del paese, è un panorama evocativo e trovo che già questa sia una notevole fonte di ispirazione. Le mie canzoni prendono vita nei modi più diversi e ho capito che non devo forzarmi, le idee, le intuizioni arrivano quando è il loro momento e l’attesa, la calma, è lo spazio che hanno a disposizione per mostrarsi. Le idee sono nell’aria, come correnti sottili e sono frutto di una società, dei tempi in cui viviamo. L’artista è un tramite che dona una forma a queste correnti.

Abbiamo recensito il tuo “Trust”. Dove è stato registrato? Che tecnica di registrazione è stata usata?

Trust è stato interamente registrato, mixato e masterizzato nello studio di casa mia con un multi-traccia digitale e un Power Mac.

Quale pezzo preferisci del tuo album?

Senza dubbio “Trust”, lo trovo evocativo e mi piace per il suo sviluppo.

Che strumentazione hai usato per l’elettronica?

Poche cose, nello specifico mi sono divertito parecchio usando un ModelD della Behringer, è un synth analogico monofonico che ricalca i suoni storici del Minimoog e lo fa molto fedelmente. Emettendo una nota alla volta non consentirebbe di fare degli accordi ma ci sono alcuni stratagemmi per superare questo limite. In “Void” ad esempio, con un arpeggiatore sparato a velocità supersoniche e un reverbero, anche se sta suonando una sola nota alla volta ciò che ne esce è un accordo “pulsante”. Per il resto alcuni virtual synth, diversi campioni e anche un vecchio D-10 della Roland.

Che cosa rappresenta la cover dell’album(in figura subito sotto)?

Una riconciliazione dell’uomo nei confronti della natura, un “fare la pace”.

Ho letto queste tue parole: “I suoni mi attraversano, arrivano da fuori, dai tetti e dalle montagne che vedo dalla mia finestra, rimbalzano su di me e diventano musica. Sono a mia volta uno strumento musicale, un recettore di melodie e note. La notte, nel mio studio, è nato questo album che imprigiona e sprigiona emozioni e lo fa in modo schietto e diretto come sono io”. Puoi commentarle?

Mi piace vedere il musicista come un ricettore ed un tramite. Come un’antenna che capta delle onde radio e le ritrasmette. C’è un flusso naturale nelle cose e basta lasciarsi un po’ andare per seguirlo, un po’ come fare del surf. Allo stesso modo basta lasciarsi trasportare dalla musica anche quando la si crea. A volte sembra darti delle indicazioni verso una certa direzione, sono le intuizioni, delle possibilità da andare ad esplorare. Se invece di imporre la tua volontà accetti questo invito può diventare un gioco molto stimolante e creativo.

Quale città contemporanea assomiglia alla tua musica?

Potrebbe essere Roma, una città che malgrado tutte le sue ferite riesce ancora a trasmettere un’eterna bellezza.

E se la tua musica fosse un libro o un film quale sarebbe?

Se fosse un libro, per le sue atmosfere, sarebbe “L’Ombra del Vento” di Carlos Ruiz Zafón e se fosse un film “La Voce della Luna” di Federico Fellini.

Nel mondo di oggi qual è il ruolo della musica?

Purtroppo è in gran parte intrattenimento. Vorrei invece che si riappropriasse del suo ruolo più alto, una forma d’arte popolare accessibile a chiunque mediante il suo linguaggio universale ma per far questo ha bisogno di essere amata e trattata con gentilezza, in fondo se lo merita.

Oltre alla musica, quali arti preferisci?

Nella vita mi occupo di grafica e le arti visive si accompagnano alla musica in modo parallelo. Così come nella musica nelle arti visive si parla di composizione, spazi, profondità, struttura, pieni e vuoti, colori. I principi sono esattamente gli stessi solo che sono espressi in forma diversa.

Con quale band o musicista vivo o morto condivideresti il palco?

Ho condiviso il palco, nel senso che ho avuto la fortuna di aprire il loro concerto milanese del 2016, con i Jane’s Addiction. Sono state una delle band che mi hanno più stupito durante gli anni ’90 e l’ultima cosa che avrei potuto pensare nella vita era quella di aprire un loro concerto. Inoltre, da chitarrista, poter osservare da vicino il setup e l’attitudine di un chitarrista che stimo enormemente come Dave Navarro è stata per me un’esperienza indimenticabile. A parte questo se potessi stare sul palco insieme ad un grande vorrei mettermi un po’ in disparte e con una chitarra acustica accompagnare delicatamente la voce di Fabrizio de Andrè in una delle sue ballate.

Che ne pensi del movimento ambientalista di Greta Thunberg? Che cosa pensi riguardo i cambiamenti climatici?

Credo che si possa pensare bene o male di Greta Thunberg ma questo non toglie che ha sollevato e portato all’attenzione mondiale un argomento degno della nostra attenzione e del nostro impegno nell’essere e nel vivere quotidiano. Riguardo ai cambiamenti climatici il pianeta è un’entità viva e in costante movimento e il nostro breve ciclo di vita, quello umano, è infinitesimamente piccolo rispetto al ciclo di vita del pianeta. Il pianeta fa il suo corso e lo fa indipendentemente da noi, saremo una delle tante specie che su di esso sono comparse e che si sono estinte e va bene così perché le leggi della natura sono perfette. Possiamo preoccuparci molto ma quando il pianeta si stuferà di noi piccoli disturbatori ci schiaccerà come tante formichine. Negli attuali slogan ambientalisti si legge che non esiste un pianeta B, io credo maggiormente che non esista una nostra umanità B.

Progetti futuri?

Il prossimo album, nuova musica, perfezionarmi e approfondire le mie ancora poche conoscenze nelle moderne tecniche di produzione e scoprire nuovi modi di comporre attingendo a generi diversi tra loro stando al passo con i tempi. Ma anche seguire l’istinto e permettere alle cose di accadere, con molta fiducia.