Intervista a Lou Mornero

1)Benvenuto su System failure. Presentati ai nostri lettori….

Ciao, sono un musicista/cantautore milanese, nato il primo giorno di acquario del 1979. Ho imbracciato una chitarra tra la fine delle scuole medie e l’inizio delle scuole superiori (regalo per la promozione) e non mi ci sono più staccato. Il 7 dicembre uscirà il mio EP di debutto licenziato dall’etichetta veronese Cabezon Records a cui sono particolarmente grato.

2)Come è nata in te la passione per la musica?

Credo che il momento esatto in cui s’accese la prima scintilla fu quando udii una canzone in uno spot di un’automobile. Chiesi a mio cugino se sapesse chi cantava e mi ripose che si trattava di “I want it all” dei Queen (questo qualche tempo prima che Freddie Mercury venisse a mancare) e semplicemente non riuscii a trattenere le emozioni per quella cosa che mi travolse e mi pervase, quindi chiesi a mio padre di comprare una cassetta dei Queen, mi arrivò il Greatest Hits II e da lì è stato, ed è, un viaggio infinito che mi ha portato ad ascoltare e scoprire musiche e musicisti di svariati generi.

3)Ci parli del tuo background musicale? Nomina tre album o canzoni che ti hanno segnato…

Come dicevo i Queen mi hanno mostrato una strada che non conoscevo ma non ci è voluto molto prima che altre musiche e attitudini solleticassero la mia sempre viva curiosità e quindi mi son riempito le orecchie di tutta la musica che passavano le radio all’epoca dei miei primi approcci: il rock alternativo americano, in particolare, che ha invaso il mondo tra la fine degli anni 80 e i 90, Seattle e dintorni certamente ma anche LA piuttosto che Chicago o New York. Ho poi indagato sulle radici musicali di certi personaggi di quella scena incredibile le quali mi hanno scaraventato alla scoperta delle decadi precedenti, quindi penso al soul piuttosto che al garage e la psichedelia, alla multiforme british invasion e al folk o il primo rock, l’r’n’b e ancor prima il blues che trasudava vita pulsante a dispetto della reale condizione di chi lo suonava. Mi ha affascinato anche tutta la scena desert rock californiana così come musicisti contemporanei quali Mac Demarco, King Krule, Kevin Morby, Curtis Harding per citarne solo alcuni. Ovviamente anche l’Italia ha partorito i suoi geni e i loro capolavori mi circolano dentro, Lucio Battisti su tutti. Capite quindi che pescare tre nomi di album o canzoni in questo marasma godereccio è impresa alla quale mi vien più facile sottrarmi. Mentre scrivo, per esempio, mi sta facendo da sottofondo Is everything ok in your world? di Yellow Days, molto consigliato.

4)Nella tua musica si intrecciano sonorità folk, blues e psichedelia. Ci racconti come è nato il tuo sound?

Il sound dell’EP è piuttosto una commistione di sensazioni e sentimenti più che di generi, preferisco pensarla così. Per quanto riguarda il sound vero e proprio mi piace smarrirmi in atmosfere che rimangano sospese e procedano lente e trasognanti piuttosto che dilatate, siano esse spensierate o malinconiche. Mi piace che la protagonista sia la musica intesa come insieme di voci e suoni senza che le une abbiamo la meglio sulle altre. S’intuisce che quando mi si chiede di definire la musica in generale ho sempre difficoltà a sbrigare la risposta?

5)Ci parli di Lou Mornero EP? Come è nato? Dove è stato registrato? Con chi hai collaborato? Insomma, raccontaci tutto per bene…

L’EP ha una dimensione che per natura è casalinga poiché non mi sono recato in studi di registrazione. Le voci e le chitarre acustiche le ho registrate in camera mia al calar del sole, momento nel quale raggiungo il maggior comfort con me stesso e col mondo. Si tratta quindi di canzoni nate con l’intento di essere arricchite ma senza la consapevolezza di come sarebbero risultate nelle loro versioni finali. Gli arrangiamenti e le registrazioni di tutti gli altri strumenti (percussioni, chitarre elettriche, bassi, synth, ecc.) sono poi stati concepiti e registrati a Seregno a casa di e da Andrea Mottadelli, mio amico di vecchia data, e poi a Londra quando Andrea ci si è trasferito in pianta stabile. Ai cori dell’ultimo brano, Strade, hanno partecipato altri tre cari amici, Sonia Rosa, Massimo Lucia e Cristian Doria.

6)Quale è la tua canzone preferita di questo EP?

Difficile rispondere, è come chiedere a un genitore quale dei suoi tre figli preferisca. Credo sia corretto dire che ogni brano mi da sensazioni differenti ed evidentemente tutte mi rappresentano e tutte mi danno un certo personale appagamento.

7)Ci parli anche della cover dell’EP?

Si tratta di un’idea venuta una sera osservando l’ombra della mia testa sulla parete, mi piacque il principio di dar seguito alla dimensione casalinga delle canzoni, quindi chiesi alla mia amica Valerie Caimi di scattare una foto che ritraesse l’ombra di cui sopra per poi farne la cover dell’EP.

8)C’è un filo rosso che lega tutte le tue canzoni? Come nascono? Come prendono forma? Ci parli del processo creativo alla base?

Se lo si vuol trovare, il filo conduttore è l’assenza di filtri, nel bene e nel male, con cui esprimo liricamente alcune fasi emotive o esperienze. Musicalmente forse c’è una sorta di lento incedere che accomuna i brani, ma non è una ricerca apposita, son venuti così e forse alle orecchie degli altri risulterà tutto diverso da come la sento io. Generalmente tutto parte dalla chitarra, mi viene una sequenza di accordi o arpeggi che mi trasporta particolarmente, poi inizio a canticchiarci sopra in una lingua che non esiste, spesso sembra un finto inglese e infine mi concentro sul testo in italiano.

9)Se la tua musica fosse una città a quale assomiglierebbe? E se fosse un quadro?

Non l’ho ancora visitata questa città ma se ci fosse sarebbe un città i cui ritmi fossero lenti e pacifici, pro umanità, nella quale l’occhio non si limiterebbe a vedere le superfici ma cercasse l’essenze. Di quadri purtroppo non me ne intendo abbastanza da citarne uno, non me ne vogliano i pittori.

10)Per finire, perché ascoltare Lou Mornero?

Per aggiungere qualcosa che potreste gradire, sdraiati di fronte ad un vasto orizzonte mentale.