Mountain’s foot – Mountain’s foot

Si comincia con “Angry bear” con dei refrain hard rock cadenzati che mandano subito il pensiero a band come Led Zeppelin o Deep Purple. Subito arrivano pure impressioni sonore blues e tutto questo ci fa capire che siamo in territorio hard rock/blues anni 60/70 del secolo scorso. Incredibile il solo di chitarra verso la metà della canzone, una canzone che possiede un sound davvero cazzuto: tanto groove da parte della band grazie ad una sezione ritmica tanto solida tra l’altro.

“Admirable vision” è anche psych, un capolavoro di canzone che manda la nostra mente a diverse band: oltre ai citati Led Zeppelin pensiamo anche a Lynyrd Skynyrd, Bad Company e Pink Floyd. Michele Guaglio con il piano elettrico arricchisce tanto il sound. Stupendo il bridge verso l’uscita della canzone.

“Little big valley” è una perla dell’album: vibrazioni rock old style che graffiano la nostra anima e la invitano a “spezzare” le catene materiali. Qui il songwriting è incalzante e la sezione ritmica eccezionale nel suo essere tanto tumultuosa e travolgente. Il solito solo finale è il sigillo del pezzo insieme ad altri refrain catchy. Parole simili possono essere usate anche per “Rock and roll dose”, un’altra cavalcata sonora.

Più sognante, bluesy e vellutata “My happy song”(come pure “Libra”) anche se i refrain marcati non mancano mai. Qui il ritmo è più posato, c’è la presenza di cori e la canzone mira ad essere più evocativa.

“Always sick and tired” è come un fiume in piena che ci trascina altrove. Troppo azzeccato il bridge psych verso la metà della canzone. Una delle migliori dell’album senza dubbio, un album che non lascia tregua per chi è nostalgico dell’hard rock “ruvido” misto al blues, combinazione in voga negli anni 60/70 e a volte unita ad una certa verve psichedelica.

“On a beat of a gun” ci offre invece una “pausa simil-tribale” a tratti e dimostra che i nostri sanno essere anche discretamente vari: infatti non mancano nell’album anche incursioni funk e country. “On a beat of a gun” offre pure climax sonori irresistibili, come non notarlo!

Inoltre, meglio ripeterlo ed enfatizzarlo, i pattern sonori in quest’album sono stati messi insieme con una cura maniacale per un songwriting di alto livello. Poi, il lavoro di Matteo Scaringelli alla voce è encomiabile. Le chitarre di quest’ultimo e Mauro Ramozzi disegnano pattern formidabili che si uniscono ad una ritmica possente.

Ascoltando l’omonimo di Mountain’s foot il mio pensiero a tratti è andato anche a “Rattle and hum” degli U2. C’è una sorta di ispirazione viaggiante in questo disco dei nostri data grazie alla presenza massiccia di sonorità blues ed evocative con qualche piccola incursione nel progressive rock. Insomma, “tanta roba” dopo tutto quello che abbiamo detto. Un mix ponderato e riuscito di diversi generi musicali, un’ispirazione viaggiante che pervade tutto l’album, tecnica e talento da parte di musicisti rodati. Che volete di più? Un album da conservare “Mountain’s foot”, un “cimelio” di grande valore…