Intervista a Ruben Minuto

Benvenuto su System Failure. Puoi parlarci del tuo percorso artistico fino a qui?

Grazie e bentrovati. Il mio è stato un percorso artistico, penso, comune a tanti altri amanti di quest’arte ammaliante, fatto di scelte ( Quasi sempre sbagliate) di costanza, cercando di ignorare gli ostacoli e le delusioni che inevitabilmente si presentano durante il cammino e poi suonare, suonare, suonare. Non importa dove, non importa con chi. L’importante è accumulare esperienza, conoscenza e quell’energia che ci arriva da chi ci ascolta e ci segue. Dico sempre che il “ Pubblico” è un amplificatore di energie positive, raccoglie quella dei performers e la rimanda indietro centuplicata.

Come è nata in te la passione per la musica?

Difficile per me pensare ad un evento particolare che possa essere considerato come genesi della mia quasi patologica passione: non ho praticamente ricordi che non siano legati alla musica. Mia madre mi raccontava spesso di me, piccolissimo, che giocavo a cantare canzoni e registrarle con un registratore della Rider’s digest di mio padre. Inoltre, mio padre suonava professionalmente durante i primi anni della mia vita ed io ricordo che passavo ore chiuso nell’armadio dove lui riponeva il suo basso ed il suo amplificatore, fermo, a guardarli.

“THE LARSEN’S SESSIONS – live in studio” è il tuo ultimo lavoro. Puoi presentarlo ai nostri lettori? Puoi parlarci della sua genesi?

“THE LARSEN’S SESSIONS – live in studio”(trovate l’artwork più sotto…) è figlio di un’urgenza espressiva compromessa da una contingenza incredibile: il virus, i lockdowns, la mancanza di rapporti umani… Luca ed io ci siamo attaccati con le unghie e i denti alla vita e per noi la musica è vita. E’ stato un processo naturale ed imprescindibile. Subito dopo l’uscita di “THINK OF PARADISE” , il lavoro precedente, il mondo si è
congelato. Non c’è stata più la possibilità di effettuare quello scambio di energie di cui sopra. Ci siamo trovati quindi con un “Surplus energetico” che dovevamo necessariamente convogliare in qualche direzione. Da qui, l’idea.

“THE LARSEN’S SESSIONS – live in studio” e i tuoi lavori precedenti. Quali sono le differenze? Quale è il filo rosso che lega le tue canzoni?

I miei lavori si spalmano in un periodo relativamente lungo , testimone di una crescita personale o invecchiamento se vogliamo chiamarlo così. Spesso mi soffermo a notare la differenza di maturità artistica ed umana fra i miei primi lavori e questi ultimi. A volte sento nostalgia per le atmosfere più spensierate , meno consapevoli dei primi lavori. Altre volte, invece, apprezzo la più consapevole ed adulta consapevolezza degli ultimi. Sia dal punto di vista armonico che della stesura dei testi. Penso proprio che il fil Rouge che lega le mie canzoni sia proprio il mio “me stesso” (Lapalissiano…) con la mia disillusione e delusione nei confronti del genere umano.

Come prende forma una tua canzone? Parla del processo alla base….

Beh, io mi sento come se fossi un contenitore , un grosso contenitore ( nda) . Un contenitore spesso nemmeno consapevolmente colmo di emozioni, di emotività più o meno espresse. Passo gran parte del mio tempo con una chitarra in mano e spesso, dal nulla, muovendo le mie dita sulla tastiera, mi accorgo che una particolare armonia nasce, prende forma e si mette a cercare in quel contenitore quale possa essere il luogo più adatto da scegliere come dimora. In poche parole, la musica stessa, nascendo, mi “ ricorda” particolari emozioni che portano poi alla scrittura di un testo e conseguentemente , di una canzone. E’ capitato anche che fosse un testo a dare le basi armoniche per un brano ma molto più raramente. Ai laghi non vado mai. ( cit.)

Hai registrato con i Mr. Saturday Night Special un doppio cd dal vivo (2006). Quale è la differenza tra suonare per se stessi e suonare per una band?

A volte prediligo la libertà che ho come solista, sia negli arrangiamenti che nelle decisioni stilistiche. Altre volte invece sento proprio il bisogno di potermi adagiare sull’aiuto di musicisti di cui mi fidi fino in fondo per potermi esprimere nel migliore dei modi. Nel mio caso, poi i miei collaboratori devono necessariamente essere miei amici. E’ una condizione assolutamente necessaria ( ma non sufficiente ). Del resto siamo “ animali sociali”. Quando invece suono i miei brani ed il mio repertorio con la mia band, mi sento esattamente “ UNO DEL GRUPPO” e suono sempre per la canzone e per il pubblico. Mai per me stesso.

Hai collaborato con i seguenti nomi: Ashleigh Flynn, Don DiLego, Ian Foster, Jake Walker, Kellie Rucker ed il già citato Steve Arvey. Puoi raccontarci qualche aneddoto, qualche momento indimenticabile?

Ho almeno un momento indimenticabile per ognuno. Naturalmente con alcuni di loro ho passato moltissimo tempo, con altri molto meno ed è soltanto la durata delle frequentazioni a diminuire il numero di ricordi speciali. Cercherò di dirne uno per ognuno di loro anche se potrei scriverci un libro. Con Ashleigh è indelebile il ricordo di quando mi disse : <> mentre ero intento a sorbire uno dei miei aperitivi preferiti. In inglese la cosa suona molto meglio : <> mi disse. Io le risposi << That sounds good for a song title!!! >> cioè <> . Otto anni dopo , pensando a questa cosa ho infatti scritto “I FORGOT HOW TO SIP” contenuta nell’album “ THINK OF PARADISE”. Con Steve ho un film di ricordi che scorre nella mia mente. Steve è una delle più simpatiche persone che io abbia conosciuto. Ho percorso migliaia e migliaia di chilometri con lui sia in Europa che negli Stati uniti e mai nemmeno cento metri di cotanta strada sono stati scevri da sorrisi e divertimento. Senza contare la saga di BERNARD PAPAWANNI che vi consiglio di cercare su youtube. Con Kellie anche tantissimi ricordi ma il più presente è sicuramente quello di quando insieme abbiamo visto gli UFO. Non sto scherzando. Con Don ho il ricordo di un viaggio in Calabria a bordo di una chevy Impala degli anni settanta del mio fraterno amico Vincenzo Tropepe. Ascoltavamo “ ALMOST CUT MY HAIR” di David Crosby ed esattamente nel momento in cui la canzone recita << Vedo una macchina della polizia nello specchietto retrovisore>> fummo fermati dalla polizia. Ian è stato sicuramente il più stimolante dal punto di vista culturale: un vero intellettuale. Con lui ricordo una visita al castello medioevale di Francavilla Bisio. Anche con Jake lunghe chiacchierate ed un concerto in acustico in duo nella bellissima piazza centrale del Piazzo a BIella.

Al Festival Blues di CHICAGO nel 2008 sei stato votato dal CHICAGO BLUES MAGAZINE “ARTIST OF THE WEEK”. Che emozioni hai provato?

Assurdo. Ho scoperto che avrei suonato al Chicago blues festival solo il giorno prima. Steve non me lo aveva detto. Potete solo immaginare l’esaltazione mista ad ansia e sensazione di inadeguatezza che provai. Oltretutto Steve volle farmi suonare, oltre alla chitarra, il mandolino e ne prese uno in affitto per l’occasione. Ero teso come una corda di… Mandolino….

Come è collaborare con Luca Andrea?

Luca mi sopporta da trent’anni ormai. Insieme siamo come lo yin e lo yang : io sono naturalmente la parte nera e lui fortunatamente quella bianca.

Come è collaborare con DELTA Promotion?

Facilissimo. Fabio è preciso ed efficacissimo nonché professionale. E’ stata una grande fortuna incontrarci. Comunque, con il passare del tempo, mi sto rendendo conto che non è di collaboratori che ho bisogno ma di badanti. E pare che i due buoni ragazzi lo abbiano capito bene.

Tra i tanti generi musicali perché il blues?

Mi permetto di correggervi anche se in parte. La mia music , il mio bacino di utenza, appartiene più al filone “ AMERICANA” che a quello del blues anche se il blues è naturalmente presente in maniera quasi preponderante ma le sonorità che propongo contengono elementi di Rock, di Country music , di Bluegrass, di Old time, Swing, insomma tutta la musica Statunitense per farla breve. Il perché lo ignoro. Penso dipenda dal mio DNA o da esperienze di vita pregressa, chi lo sa?

Nomina tre album che hanno segnato la tua vita e parlaci anche dei tuoi ascolti attuali…

Faccio sempre fatica a ridurre a un numero così basso di album una frequentazione di tutta una vita ma ci proverò consapevole del fatto che ogni volta che rileggerò quello che ho scritto, mi verranno in mente di centinaia di altri titoli. “LIVE at THE CELLAR DOOR” – Seldom Scene probabilmente l’album che ho ascoltato di più nella mia vita, seguito a ruota da “ LIVE” degli Eagles e forse “ EYE IN THE SKY” – Alan Parsons Project. Attualmente credo di avere addosso la “ scimmia” per i Blackberry Smoke e il cantautorato di John Moreland o Chris Stapleton. Altrimenti trovo riparo nella confortante sicurezza della musica classica minimalista.

Oltre la musica che arti preferisci?

Beh, tutte. Amo la poesia. Adoro la pittura, passo ore anche a guardare video di gente che disegna, anche solo grafici (inteso come artisti, non come ascisse e ordinate), la letteratura mi tiene molta compagnia ma la mia preferita in assoluto è la culinaria. Sono un cuoco mancato. E reputo quella della buona cucina un’arte pari a tutte le altre.

Se la tua musica fosse un quadro, un film o un libro?

Se fosse un quadro sarebbe senza dubbio alcuno il Viandante sul mare di nebbia (Wanderer above the Sea of Fog) di Caspar David Friedrich. Un film … Proprio non saprei ma, per le emozioni e le atmosfere forse direi “ IL TORO” di Mazzacurati. Un libro… Anche qui è dura ma forse “ STRADE BLU” di William Least Heat Moon.

Saluta i lettori di system failure e dai qualche consiglio a coloro che stanno muovendo i primi passi nel mondo della musica….

Adesso?!?!?!?!? Rimandiamo questo argomento a momenti meno impossibili. Direi solo cose sconvenienti, rischierei di cadere nello scurrile. Scherzo. Voglio mandare un carissimo saluto a tutti i lettori di System Failure ed in maniera particolare a chi sarà riuscito ad arrivare fino a questa riga attraversando questo oceano di logorrea in cui vi ho trascinati. Grazie e a presto. La pizza è buona.