Intervista a Mido
Benvenuto su system failure. Sei appena uscito sul mercato discografico con un nuovo album, “Blu”. Puoi presentarlo per bene ai nostri lettori?
“Blu” è un album molto vario che intende trasmettere un sound potente e caratteristico degli anni 90: nessun utilizzo di Ableton Live e pad, qui è stato davvero suonato tutto. Ci sono alcuni spunti di elettronica che sfociano però anch’essi in muri di chitarre e arpeggi. L’intento è quello di rimandarvi, per una quarantina di minuti circa, indietro nel tempo, e farvi apprezzare le diverse sfaccettature di quella musica scritta, cantando le melodie ancora prima di mettere giù gli accordi. E’ un invito a prendere in mano lo strumento e un registratore qualsiasi, e farvi sentire per quello che siete, senza nascondervi dietro ad un software, un effetto o peggio ancora un virtual instrument.
Dove è stato registrato “Blu”. Che tecnica di registrazione è stata usata. Difficoltà nel processo di registrazione?
Disponendo di un Macbook con installato Logic Pro X, una Focusrite Clarett 4pre e di un piccolo parco microfoni ben scelti, ho registrato nel mio garage (trattato acusticamente) la batteria e le chitarre amplificate. Il basso l’ho registrato in linea mentre la chitarra acustica, così come l’armonica a bocca, le ho riprese microfonandole nel mio home-studio. Per quanto riguarda le tastiere ho programmato delle sequenze midi, per questo tutto l’arrangiamento è suonato a click. Il pianoforte è stato microfonato in un appartamento mentre le percussioni e tutte le parti vocali sono state riprese in studio di registrazione. In questo caso per i cantati mi sono avvalso dell’aiuto di un secondo fonico, così ho potuto concentrarmi sull’interpretazione. Ad ogni modo la particolarità più importante da segnalare è che sulla batteria ho piazzato solo 4 microfoni (cassa, rullante, e i due over head) sicché farla uscire così aperta, forte e potente come la sentite è stata la difficoltà più grande. Per concludere, la fisarmonica che sentite sul finale de “La Sobrietà” è stata suonata da un musicista di strada in Piazza San Fedele in centro a Milano, il mare che sentire in “Blu” l’ho ripreso lo scorso inverno, in una spiaggia in Liguria. Il mastering finale e la distribuzione li ho gestiti tramite il servizio canadese Landr, con cui mi trovo molto bene.
Quale è il brano del tuo disco al quale ti senti particolarmente legato?
“Io Mi Meraviglio”. Era originariamente nata in inglese con il titolo “Understand” e parlava di un amore perso. Mi piacciono l’arrangiamento e la melodia vocale ed ho voluto spezzarne quell’effetto fortemente pop con una quella chitarra slide che sentite in sottofondo. Quei piccoli fraseggi blues li ha suonati eccezionalmente un mio caro amico chitarrista di Madrid. Le nuvole sono i miei pensieri mentre il vento è la forza esterna del cambiamento.
Mi puoi parlare della cover del disco? Cosa rappresenta?
Il blu è il colore che più rappresenta l’essenzialità e la versatilità delle mie canzoni, è il colore dell’acqua, fonte essenziale che scorre e fluisce in ogni verso, ed elemento primordiale e necessario per la sopravvivenza. Le meduse sono formate il 98% di acqua, hanno un movimento casuale ed elegante e rappresenterebbero le mie idee, l’ispirazione. La cover è costituita da una somma di più fotografie che ho scattato all’acquario di Genova.
Ho letto che scrivi, componi, arrangi, suoni, microfoni, registri, mixi e produci la tua musica. Come fai a fare tutto da solo?
Tutto nasce dall’amore per la registrazione. Già da bambino giocavo a creare delle sequenze ritmiche di parole e musica utilizzando le musicassette delle lezioni di inglese delle scuole medie, sfruttando quello che c’era, cioè la doppia piastra tipica degli stereo degli anni 80. Le prime registrazioni delle mie prime canzoni le ho fatte qualche anno dopo, quando arrivò a casa un registratore analogico Tascam a 4 tracce. Non possedendo altri strumenti oltre alla mia chitarra elettrica ed un microfono Shure SM58 per la registrazione della mia voce, risolvevo le parti del basso suonando la chitarra su un Whammy Pedal, abbassandolo di un’ottava. Usavo un delay molto lungo per sfumare con il potenziometro del volume della mia chitarra gli accordi, tagliandone la parte di attacco per ottenere l’effetto di una tastiera; sempre sulla chitarra, battevo le mani o le dita a ridosso dei pick-up, bloccando le corde sul manico avvalendomi di un panno stretto al ponte, così che, con un po’ di equalizzazione, riuscivo ad ottenere una traccia di batteria molto rudimentale ma che funzionava! Mi sono poi diplomato come tecnico del suono e ho lavorato in alcuni studi di registrazione milanesi. Poi, in seguito ad un viaggio in Australia, ho avuto la grande fortuna di incontrare un noto fonico inglese e di affiancarlo in un importante studio di post produzione audio a Melbourne. Da quell’esperienza ho imparato a vedere la musica nel suo insieme e a lavorare sull’arrangiamento di un brano considerando anche altri parametri, oltre alle note. Ad ogni modo, non potendo pensare di farne un mestiere (qui in Italia), ad un certo punto ho deciso di acquistarmi dei microfoni e la strumentazione necessaria per cominciare a fare tutto da solo. Ho registrato gruppi musicali ovunque, nelle cascine, per strada, nei loro garage, scoprendo così che lo studio di registrazione non è l’unica strada possibile. Chiaramente la mia formazione musicale non si limita alla chitarra e al recording/mixing, ho studiato canto per diversi anni con un’importante cantante lirica e la batteria con tre grandi insegnanti, sono laureato in Scienze e Tecnologie Della Comunicazione Musicale presso l’Università Statale di Milano, ho frequentato un corso sulle Digital Audio Workstation al C.P.M. di Milano e ho seguito e tuttora seguo diversi seminari di batteria. Tutta questa esperienza mi ha permesso di produrre i miei lavori in questa maniera.
Di certo a differenza di tanti altri tu sei davvero “indipendente”. Commenta questa mia affermazione…
Mettiamola così: oggi, con le dovute accortezze e senza disporre di troppi mezzi, si possono produrre dei lavori che suonano veramente bene. Le major sono solo due, il resto è un parco infinito di etichette e progetti, blogger e musicisti solisti. Per quanto mi riguarda però, non amo essere definito un “one man band” perché la musica per come la vedo va sempre suonata, tutta e strumento per strumento, quindi è importantissimo esibirsi con una band. Mi sentirete molto presto dal vivo con il gruppo e mi presenterò come frontman alla voce e chitarra.
I tuoi testi di cosa parlano? Quali sono le tue fonti di ispirazione?
Vedo qualcosa che mi colpisce e la descrivo. Oppure rievoco il ricordo di un momento vissuto da adolescente, quando ero più curioso e anche più ingenuo, quindi decisamente più artista. “La Sobrietà” è la descrizione di un musicista di strada, colto e spoglio di tutto il resto che non conta, è sobrio e vive lontano da tutto quello che oggi anestetizza le nostre idee e i nostri pensieri, quindi libero. “Io Mi Meraviglio” descrive un momento della mia adolescenza in cui mi trovai rivolto verso il cielo, ero su un prato in montagna, respiravo l’aria e desideravo un cambiamento, avevo voglia di scoprire il mondo e di vivere una storia d’amore incredibile, ed intanto mi guardavo intorno, meravigliandomi della vita. “Blu” descrive il mio terrore per il mare aperto ed il desiderio di superare questa paura cercandone un’ispirazione positiva che arrivi appunto dal suo profondo. “Google Home” esprime una visione decadentistica ed estremizzata del nostro mondo, è il tormento perverso del sentirsi connessi a tutto e niente, di credere di avere idee uniche da condividere quando poi invece scopri che non sono le tue perché le stesse sono già arrivate agli altri, nel momento in cui le hai pensate. “Male Dentro” è il pensiero ansioso e terrorizzante che tormenta il depresso, il testo è pesante e molto negativo, per “chi ha più orecchie”, nel finale insieme ai battiti del cuore sono nascosti dei sospiri veramente angoscianti. “Crescerò” parla dell’innocenza perduta e del desiderio di restare eternamente giovani e infallibili, l’età dei teenager, cioè quando ancora tutto è da vivere e quindi “da sbagliare”.
Come nasce una tua canzone? Parla del processo creativo alla base….
Nasce la musica, poi vengono le parole, questo per me è fondamentale. Generalmente è un incipit sonoro, quel suono e quella nota che mi danno ragione di scrivere. Non cerco ritornelli forti o strofe accattivanti ma tendo a dare molta importanza al movimento tensio-distensionale della musica. Una canzone può avere un gioco di suoni e musica molto forte, il testo cantato in quel caso diventa un altro strumento insieme agli altri e non conta cosa dici o cosa pensi, conta la semplicità. Ne è un esempio un brano come “Ti Prendi Gioco Di Me”: questa frase nasce dal suono onomatopeico che mi ha suggerito la chitarra suonata in pull-mute, mentre la stavo registrando.
Quali sono gli elementi della tua musica che possono incuriosire un potenziale nuovo ascoltatore?
Non è facile incuriosire oggi perché c’è in giro veramente un mondo sommerso di musica di grande qualità. Sicuramente il fatto che abbia prodotto tutto da solo è un elemento non indifferente e il mio pubblico principale credo che possa essere rappresentato proprio dai miei stessi “colleghi” musicisti. Un altro aspetto chiave dei brani credo sia il loro forte aspetto melodico e armonico, che è in netta contrapposizione con un modo compositivo attuale fatto più di parlati, rumori e suoni elettronici e soprattutto di assenza di armonie. Le dominanti secondarie, quindi le settime e le none, questi sconosciuti…
Quali band hanno influenzato maggiormente il tuo sound?
Può sembrare patetico ma i miei idoli in assoluto sono i Beatles. Versatilità incredibile, originalità nei suoni e negli arrangiamenti, fortemente melodici o incredibilmente psichedelici, eppure mai scontati. Adoro l’album “Songs In The Key Of Life” di Stevie Wonder da cui traggo ispirazione per il discorso della sovraincisione, non tutti sanno che quel doppio album il caro Stevie l’ha concepito, arrangiato e suonato quasi tutto lui, parti di batteria incluse. Sono nativo del 75, pertanto non posso nascondere il mio amore per il grunge dei Pearl Jam e degli Stone Temple Pilots, il glam rock dei Van Halen, il trash metal dei primi Metallica ed il primo crossover dei Beastie Boys. A seguire, adoro lavori irripetibilmente belli come “Play” di Moby, le melodie dei Massive Attack, le atmosfere fortemente emotive dei Portished, la struggente e misera malinconia e la tristezza penetrante delle canzoni dei Radiohead in “Ok Computer”. Appartengo a questa generazione, ho amato i precedenti e i precursori come i Led Zeppelin e Jimi Hendrix e ammetto che fatico tantissimo, proprio tantissimo, a capire le band del mainstream attuale, non ne trovo alcuna originalità e spunto.
Come giudichi la scena musicale indie italiana?
Negli anni 90 ci sono stati i Ritmo Tribale, i Karma, gli Afterhours, i primi Negrita e i primi Bluvertigo, i Casinò Royale, gli UstMamò, gli Afa, gli Interno 17, i CCCP, capisci che ho avuto davanti dei modelli altissimi, per cui è difficile rispondere a questa domanda, perché allora esistevano contenitori, trasmissioni e palchi per questi artisti emergenti che oggi non esistono più, all’infuori dello streaming radiofonico. Anche i video musicali oggi non funzionano più, MTV era interessante perché ti permetteva per esempio di scoprire band di ragazzini fenomenali come i Verdena, Rock TV ti portava a conoscere gruppi minori ma agguerriti della scena punk come le Bambole Di Pezza o le Porno Riviste; c’era Roxy Bar di Red Ronnie; a Milano c’era Rock FM che intervistava gli emergenti, tra cui il sottoscritto, c’erano locali come il Rock Planet che mi permise di esibirmi a soli 16 anni davanti a gente importante, la Jungle Sound Station organizzava concorsi interessanti… Adesso i nuovi guru sono diventati i blogger individuali e per fortuna le webzine come la vostra danno uno spazio anche maggiore per certi aspetti, tuttavia non solo si suona molto meno dal vivo perché i locali non danno più questo spazio ma gli stessi emergenti non vanno a sentire i concerti degli altri loro colleghi, e questo è un gran peccato. Servirebbe qualche iniziativa che possa unire lo sforzo di tutti e che vada ben oltre le playlist di Spotify e Youtube, la musica è prima di tutto dal vivo.
Su quale palco sogni di suonare?
Sarebbe bello tornare indietro e poter suonare ad un Pink Pop Festival o ad un MTV Unplugged, oggi giorno onestamente non mi vedo su palchi importanti ma non ci vedo sopra nemmeno gli altri!
C’è un musicista vivo o morto con il quale vorresti suonare su un palco?
Non ne sarei all’altezza ma starei volentieri sul palco con i Nirvana. Forse l’ho anche sognato tempo fa…
Uno strumento come Spotify con le sue playlist quanto può aiutare un artista?
Entri in una playlist con tanti followers se paghi, se hai una promozione dietro o se arrivi già da un contesto non indipendente. Quindi il cane si morde la coda e non arriva mai al risultato. In compenso è importante il self-promoting attraverso questo strumento perché è il compact disc di oggi e sta già diventando vecchio. Onestamente ci credo poco, a tal punto che sto valutando di stampare alcune copie del mio lavoro in vinile e regalarle a quei venditori con le bancarelle nelle vie che vendono ai collezionisti, pattuendo con loro di mostrare e promuovere il disco ed in cambio intascarsi i soldi della vendita..capisci che noi emergenti oggi facciamo musica e desideriamo farci conoscere per pura passione e non di certo per venderla.
Quale è il ruolo della musica nella società odierna?
Spero che la musica continui a incuriosire le persone perché quello che è cambiato è il concetto di band e di album. Non c’è più un concept unico, un tema di partenza che possa appunto definire una raccolta come album. Oggi esistono solo singoli radiofonici “fortissimi” e che vincono dischi d’oro e artisti, se così vogliamo chiamarli, che vengono presentati ai Grammy Awards con numeri molto più bassi di un tempo, tutto quello che resta fuori dal mainstream non conta. Ma è proprio in questo contesto che secondo me la musica emergente e indipendente acquista più valore, questo è fondamentale per conservare l’amore per la musica e quella sete di conoscere le band che ti portano ogni giorno ad ascoltare qualcosa di nuovo. Suonare fa stare bene, studiare e coltivare uno strumento oggi è più importante di prima perché la musica è sempre di più elettronica e frutto dell’intelligenza artificiale.
Oltre alla musica quali arti preferisci?
Amo la fotografia, mi sarebbe piaciuto nascere qualche decennio prima e fare il fotografo, esclusivamente in bianco e nero.
Siamo arrivati alla conclusione. Ti va di lasciare un messaggio ai nostri lettori?
Se suonate e componete e volete proporre le vostre canzoni e trasmettere delle emozioni ad un pubblico, cercate di ragionare meno da musicisti e di ascoltare le sensazioni che propagate. Se invece non suonate ma amate la musica e siete alla ricerca di nuovi artisti emergenti che vi possano appassionare, non limitatevi ad ascoltare i loro lavori e andate anche ai loro concerti.