Intervista a Lucia Fodde
Benvenuta su system failure. Ci puoi dire in poche righe come è cominciata la tua passione per la musica?
La mia passione per la musica è iniziata da bambina. La prima esperienza è stata cantare nel coro polifonico della chiesa del mio quartiere Villanova a Cagliari, poi ho iniziato a far parte di alcune band locali come back vocalist e successivamente ho creato i miei progetti in ambito pop. Di fatto ho sempre amato il jazz. Quando mio padre suonava i suoi dischi rimanevo affascinata da quella musica senza tempo e qualsiasi cosa stessi facendo smettevo e ascoltavo rapita. Poi ho iniziato ad avvicinarmi di più e a studiarlo e dopo diversi anni ho messo su il mio primo quartetto jazz e da li non mi sono più fermata. Dopo molti anni suonando nei più importanti clubs della mia regione, la Sardegna, ho avuto l’opportunità di iscrivermi al corso jazz presso il Conservatorio P. Luigi da Palestrina di Cagliari, allora il primo del suo genere in un conservatorio. È lì che ho conseguito il diploma in Canto Jazz.
Lucia si trasferisce a Berlino nel 2013, dove entra subito a far parte della scena jazz locale, leggo dal comunicato. Cosa ci puoi raccontare a riguardo?
Ad un certo punto della mia carriera ho sentito l’esigenza di allargare gli orizzonti e provare nuove esperienze all’estero. Dopo una serie di valutazioni ho scelto Berlino, che avevo visitato per testare la scena musicale e non solo. Me ne sono innamorata! Non ho avuto alcuna esitazione a fare un salto nel vuoto, e cambiare città, abitudini, lingua e cultura. Sono stata accolta benissimo da subito, infatti ho iniziato a suonare nei clubs berlinesi dopo nemmeno un mese dal mio trasferimento avvenuto oltre 10 anni fa.
Hai vinto il SummerJazz Festival 2023 di Pinneberg. Che emozioni hai provato?
E’ stato un premio assolutamente inaspettato e graditissimo! Dalla segreteria del festival mi chiamarono il giorno dopo la mia esibizione, per sapere se fossi ancora li e dissi loro di essere tornata a Berlino la sera stessa. A quel punto mi diedero la notizia di aver vinto il premio e io continuavo a chiedere: ‘Ma davvero?’! Beh, e’ stata davvero una piacevole sorpresa. Il premio mi è stato poi spedito a casa mentre quello in denaro l’ho condiviso con i miei colleghi della band, mi sembrava giusto cosi.
“HARLEM BEATS”, il nuovo album. Lo puoi presentare ai nostri lettori? Con che spirito è nato?
Harlem Beats nasce da un’idea a cui pensavo da tempo, cioè quella di rivisitare classici del jazz e del repertorio brasiliano, con delle sonorità elettriche. L’avevo già fatto nel mio precedente album Freedom del 2018 dove rielaboro un brano di Sergio Mendes, ‘So many stars’, in una versione voce e piano synth con il pianista Davide Incorvaia. Poi ho registrato un altro brano del repertorio brasiliano con lo stesso concetto, ‘Inutil paisagem’ di Jobim, uscito come singolo nel 2020. Cosi poi e’ nata l’idea di lavorare a brani del repertorio di Duke Ellington e Billy Strayhorn ed e’ nato Harlem Beats.
Quali sono le differenze con i tuoi album precedenti?
Harlem Beats è stato concepito per un ensemble elettrico con una direzione elettronica, e non ci sono composizioni originali, ma voleva esattamente essere una rivisitazione come dicevo prima, di classici del jazz con un twist più moderno. E’ sicuramente diverso da Traces of you, dove oltre ad una sonorità più classica, se pur moderna, erano presenti anche brani originali. Forse troverei una leggera assonanza con l’album Freedom perchè anche quello era un album con sonorità moderne, con classici del jazz e della bossanova e brani originali. Assolutamente distante invece dal primo album decisamente più classico ‘Just one of those things – A Tribute to Cole Porter’ registrato nel 2012 con il quartetto dei Lov’n Jazz Quartet.
L’essenza di HARLEM BEATS è una straordinaria alchimia creativa con i talentuosi musicisti che hanno affiancato Lucia Fodde in questo affascinante viaggio musicale, leggo
pure dal comunicato. Puoi approfondire queste parole?
Ho realizzato gli arrangiamenti di brani come ‘In a Mellow Tone’, ‘A Flower is a Lovesome Thing’ e ‘Chelsea Bridge’, ad esempio. Negli altri brani, la mia idea ha dato vita a una collaborazione in studio con i miei colleghi, la quale è stata determinante perché insieme abbiamo lavorato con idee e spunti diversi sugli arrangiamenti. Questo ha portato a una grande intesa e una chimica non affatto scontata.
HARLEM BEATS è stato registrato presso gli Ufo Sound Studios di Berlino. Come è collaborare con questa realtà di Berlino?
Mi sono sempre trovata bene in tutti gli studi in cui ho registrato. Ho sempre trovato una grande professionalità e competenza con le persone con le quali ho lavorato.
Per finire, cosa hai in progetto per il tuo futuro?
Tanti concerti di sicuro e forse nuove collaborazioni! E poi sto già pensando al mio prossimo disco! Al momento ho giusto qualche idea per comporre nuove canzoni ma non so ancora che direzione prenderà, vedremo….