Intervista a das Es

Benvenuti sulle nostre pagine html. Come si è formata la vostra band? Come vi siete conosciuti?

Tutto nasce dall’incontro di Davide (voce) e Mauro (basso), accomunati dalla passione per la New Wave, decidono di creare un gruppo che potesse ricreare queste sonorità.

Perché il nome das Es?

Secondo la teoria psicoanalitica di Sigmund Freud, l’ES, è quella istanza intrapsichica che rappresenta la voce della natura nell’animo dell’uomo. Questo, se vogliamo chiamarlo, istinto naturale intrinseco nell’essere umano è alla base dal nostro gruppo e della nostra musica.

La vostra musica è un ibrido di alternative rock, new wave e post rock. Come avete elaborato il vostro sound?

Come detto, tutto nasce dalla base di volersi avvicinare al sound della New Wave, del Post Punk e della Dark Wave, poi la nostra naturale tendenza alla personalizzazione dei suoni e delle melodia, ha portato a questo “miscuglio sonoro”.

E’ uscito il vostro ep “Viola”. Di cosa parlano le canzoni?

“Viola” è un viaggio nella natura umana, c’è la gioia, il dolore, la disperazione e la rinascita.

Quale canzone preferite particolarmente di questo disco?

Sicuramente siamo molto legati brano che ha dato il titolo al disco “Viola”. Ma credo che la canzone che più ci ha soddisfatti nella realizzazione sia “3 Steps”.

Viola è livido e fiore, dolore e colore, mistero e fascino. Viola rappresenta l’insofferenza, la frustrazione, ma anche, l’elaborazione degli accadimenti della vita, di quei momenti “no” che comunque hanno in sé la forza di spingerci oltre. Viola è il bene. Viola è il male”. Potete commentare queste parole….

Queste emozioni sono il filo conduttore del disco(artwork sotto), dare un’unica definizione che possa accomunarle è davvero difficile, noi abbiamo trovato che il colore Viola, con tutta la sua potenza ed oscurità, potesse rappresentare al meglio questo EP.

Il disco è stato registrato e mixato alla Roadhouse11 di Cianciana (AG) da Francesco Less. Il master e la produzione finale è stata curata da Francesco Barbata, presso “Disco 33” di Sciacca. Come è stato collaborare con loro?

Francesco è un amico, che oltre ad averci accolto nel suo studio, ci ha accolti a casa sua, nel suo paese d’origine, Cianciana, ci ha aiutati e guidati in questo lavoro, mettendoci a disposizione tutta la sua conoscenza musicale. Francesco Barbata, è un professionista ed un appassionato di musica, il suo studio e le sue macchine analogiche, hanno arricchito il lavoro fatto, donandogli quelle sfumature da noi ricercate.

Secondo voi la scena indie siciliana è paragonabile a quella del Nord Italia? Vi sentite parte di un movimento di bands?

Al giorno d’oggi non esiste una scena musicale alternativa legata alla musica rock, ci sono diversi gruppi che suonano, qualche locale che ancora coraggioso propone musica originale e di tanto in tanto un festival che dà spazio a chi è poco conosciuto. La facilità nel far esibire chi fa musica Pop, Trap e Rap, avendo anche un riscontro maggiore di pubblico, sicuramente sta contribuendo alla carenza di spazio. Noi in Sicilia abbiamo il grosso svantaggio delle distanze, una band di Bologna, di Roma o di Milano, in un paio d’ore attraversa diverse regioni e può sicuramente trovare più alternative per esibirsi. No il ponte sullo stretto non risolverebbe il problema. Prima dello stop forzato del Covid-19, avevamo creato un bel movimento di band, che purtroppo si è sregolato all’improvviso, organizzavamo anche un festival musicale (Ciauli Rock Fest), dove invitavamo gli amici a suonare. Lentamente stiamo riprendendo la strada, siamo legati ad altre band, come i Roofsize, con cui l’anno scorso abbiamo condiviso un bel tour per la Sicilia.

Di cosa ha bisogno l’indie italiano per tornare ai fasti del passato? Io penso ai tempi di Litfiba, Csi, 99 posse, Subsonica e tanto altro…Insomma ai fasti di qualche decennio fa…

l pubblico è cambiato, le case discografiche guardano altrove e se prima i Subsonica e i Litfiba, firmavano per una major, trainandosi dietro un sottobosco di band, che ispirandosi a quel suoni, avevano le porte spalancate. Poi c’è da ammettere che il rock non è più “rivoluzionario” e “contro”, ora è stato soppiantato da altra “musica”.

Ci sono diversi artisti dream pop o dark pop: penso a Grimes, Hana, Danz(Computer Magic), Vitesse X, Night club e Omnimar. Sono generi molto proposti e seguiti fuori Italia. Perché secondo voi da noi non arrivano nello stesso modo?

Innanzi tutto c’è una base culturale, che vuole un certo “stile” per la musica Pop italiana e non solo quella odierna e da classifica, ti parlo di band storiche come i Pooh o di giovani appena uscita da un talent a caso, tutti seguono lo standard del POP Italiano, questo vuole il pubblico un ascolto facile, con suoni conosciuti ed “innocui”. Naturalmente ci sono delle eccezioni, penso ad un Dardust, che ha creato per Sanremo musica non certo “semplice”, ottenendo ottimi risultati.

Avete mai pensato di aumentare la componente electro nella vostra musica?

Sinceramente, no. Vogliamo mantenere quell’attitudine Rock, sporca e noise. Nel 2021, causa lo stop forzato dalla situazione lavorativa di Davide e Salvo (Synth), Leo, Mauro e Valerio, hanno creato un side project, i Dispnea, in cui Leo suonava i Synth e non erano presenti chitarre.

Tornando al vostro disco, presenta un sound abbastanza ruvido. Perché questa scelta stilistica?

Fa parte del nostro modo di suonare, le nostre radici sono queste, non ci piacciono le patinature e le iper produzioni, i das Es suonano così, anche live, non ci nascondiamo dietro la capacità di un tecnico del suono o di un produttore.

Quanto è importante il songwriting per voi? Chi se ne occupa?

In questo EP abbiamo scritto i testi in italiano, non è stata un impresa semplice, sia per la musicalità della nostra lingua, sia nel creare qualcosa di non banale, utilizzando sempre le stesse parole o peggio, creare qualcosa di incomprensibile. Principalmente della stesura dei testi se ne occupano Mauro e Davide, ma nel nostro piccolo cerchiamo tutti di inserire qualcosa di nostro in ogni brano.

Come nasce una vostra canzone? Parlatemi del processo creativo alla base…

Quasi tutti i nostri brani nascono dal basso, che è lo strumento portante del nostro sound, vengono poi sviluppati in sala prove, con il contributo di tutta la band. Alcune volte invece, si arriva in sala con un giro di chitarra o una idea melodica. Possiamo dire che il nostro è un processo creativo corale, la compattezza del nostro sound crea il risultato finale.

Siamo in un mondo in emergenza climatica da tempo. Siamo usciti da una pandemia per niente indenni. Ora una guerra sta sconvolgendo il mondo intero. In un mondo del genere quale è il ruolo della musica?

Nella speranza di musicisti è quella di dare un messaggio e lasciare una traccia nell’animo di chi ci ascolta, perché nel bene e nel male, abbiamo bisogno uno degli altri e la nostra terra è una sola.

Per finire salutate i nostri lettori e diteci cosa c’è nel vostro futuro. Cosa avete in programma per i prossimi mesi?

Al momento stiamo elaborando nuovi brani, che faranno parte di una prossima pubblicazione e preparando una scaletta “lunga”, in cui abbiamo inserito alcune cover riviste e personalizzate, pronti a portare in giro live il nostro sound.

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