Intervista a Alberto Fabbris

Benvenuto su system failure. Come è nata in te la passione per la musica? Come hai mosso i primi passi?

La musica è sempre stata presente nella mia vita fin da bambino anche se la vera e propria passione è nata dopo circa un paio di anni di studio di chitarra classica, attorno ai 12 anni, quando ho imbracciato per la prima volta una chitarra elettrica. È stato come accendere la luce e da quel momento non ho più smesso di suonare. Per molti anni c’è stato solo e solamente il rock ma in seguito, tramite l’avvicinamento alla chitarra acustica e al canto, mi sono dedicato anche ad altri generi, come il country appunto.

Quale è la differenza tra suonare per una band e suonare per se stessi?

Suonare in una band significa avere molte idee e influenze da mescolare insieme, il che può rappresentare o meno un punto di forza, a seconda dei casi. Bisogna sempre trovare il giusto equilibrio tra le personalità e le attitudini dei componenti.. Suonare per sé stessi, dal punto di vista dell’equilibrio è molto più semplice ma si è da soli sul palco e la forza bisogna cercarla dentro di sé. Inoltre, essere da soli quando si produce vuol dire avere meno riscontri su quello che si realizza e meno risorse. Io credo di lavorare meglio in questa situazione in quanto riesco ad elaborare le idee musicali con i miei tempi e far seguire alle canzoni il percorso che ho in testa, cosa che in passato non è sempre stato facile trasferire ad altri componenti della band.

C’è un live di cui conservi un ricordo indelebile?

Ci sono tanti live di cui conservo ricordi bellissimi, soprattutto quelli che ho condiviso con i miei compagni di viaggio nelle varie band. Ma se devo limitare la scelta al mio percorso da solista allora sicuramente il live a cui penso immediatamente è quello organizzato dalla mia casa discografica Delta Records nel 2022 dove ho suonato insieme ad altri gruppi e dove ho davvero realizzato che il mio progetto era cominciato e non si sarebbe fermato.

E’ uscito il tuo album di debutto “The New Journey”. Lo puoi presentare ai nostri lettori? Con che spirito è nato? Ci puoi parlare della sua genesi?

L’idea di The New Journey(artwork subito sotto) è nata qualche anno fa, dopo aver ascoltato una canzone di Tommy Emmanuel intitolata Lewis & Clark, due esploratori delle terre selvagge del Nord America. Tutte le canzoni dell’album sono ispirate dal concetto del viaggio e ognuna rappresenta una tappa di un percorso immaginario attraverso terre inesplorate, che sia un personaggio, un luogo o una rivelazione. Utilizzare questa linea guida mi ha davvero aiutato nella stesura dei brani che, attorno al 2020 ho deciso poi di registrare e produrre nel mio home studio.

Quale è la traccia che preferisci di questo disco di debutto?

Direi tutte ma quella a cui sono più legato affettivamente è Big River che ho scritto con mio fratello Daniele. Inoltre, credo che la traccia di basso realizzata da Gabriele Cerutti gli abbia dato una marcia in più.

L’uscita dell’album è stata anticipata dai due singoli “Desert Town” e “Ancient Jar”, entrambi disponibili su youtube. Cosa puoi dirci di questi due video?

Per questi due video mi sono totalmente messo nelle mani di Cristian (ZenBang Production) e della sua creatività. Le atmosfere create sono esattamente come me le aspettavo e in particolare Desert Town ci siamo ci siamo divertiti parecchio a creare una storia dietro la canzone che non fosse però troppo scontata rispetto al testo del brano. Entrambi i video sono registrati a Verbania ma in due posti diversi, comunque sempre in mezzo alla natura, elemento caratterizzante di tutto il disco.

Come è stato collaborare con Marco Chierichetti per il lato tecnico dell’album e con Aram Kalaydjian per le grafiche?

Con Marco e Aram siamo amici ormai da decenni e non ci siamo mai persi di vista nel corso del tempo. Marco mi ha dato preziosi consigli e supporto sul missaggio, in particolare su Desert Town e Ancient Jar, brani nei quali ha dato un contributo attivo ai mix. È riuscito anche a capire il mio desiderio di volermi occupare personalmente della produzione ed è quindi riuscito a darmi la giusta spinta anche quando lo sconforto di alcuni momenti prendeva il sopravvento. Aram invece si è sempre occupato delle grafiche dei miei progetti e anche per questo non avrei potuto affidarmi a una persona più adatta e capace di lui. Per questo album siamo partiti con il concept della mappa ancora prima che fossero scritti tutti i brani. In seguito si è lavorato sulla simbologia per ciascun brano come si vede nella copertina dell’album.

Chi sono i tuoi miti musicali? Con quale artista del passato o del presente ti piacerebbe collaborare?

I miei miti musicali sono sempre cambiati nel corso degli anni e ognuno di questi ha lasciato una sua influenza nelle canzoni che scrivo. Sicuramente Hendrix, Clapton, John Mayer, Tommy Emmanuel, Eagles, ZZ Top. Oggi però il mio riferimento è Chris Stapleton soprattutto per quanto riguarda la scrittura dei brani e della loro interpretazione vocale. Se potessi scegliere un artista con cui collaborare sceglierei lui.

Cosa è la musica per te? Quanto riesci ad esprimere di te stesso con la musica?

La musica ha sempre rappresentato per me il mio modo più efficace per comunicare e la scrittura di canzoni è la via migliore per trasmettere i miei pensieri ed emozioni. I contesti live sono quelli che preferisco in quanto è più semplice comunicare con la musica rispetto a una registrazione. Non potrei vivere senza musica e senza quelle sensazioni che si provano quando si imbraccia una chitarra e si sentono le vibrazioni e le note passare attraverso il corpo.

Per finire, ci puoi parlare dei tuoi progetti futuri?

Per il momento voglio concentrarmi sulla promozione di The New Journey, in particolar modo presentandolo e suonandolo dal vivo. Poi mi dedicherò sicuramente alla registrazione di altri brani che ho già scritto, magari realizzando un EP.

Ascolta The New Journey:

Link Spotify: https://open.spotify.com/album/4CUSgImpZ6jhsrDcmSvXHk