Ruben Minuto – The Larsen’s Sessions

Il titolo del nuovo lavoro di Ruben Minuto ci anticipa molto di quello che le nostre orecchie avranno il piacere di ascoltare. Musica dal vivo, priva di sovra-incisioni, di indiscutibile intensità e accompagnata dalla calorosa voce di Ruben Minuto, in collaborazione con Luca Crippa alle chitarre.

Si tratta di un album composto da 10 imperdibili tracce, che segue l’ultimo lavoro dell’artista milanese ormai sulla scena musicale italiana da oltre trenta anni, registrato “a presa diretta” presso i RecLab Studios di Larsen Premoli (da qui il titolo della raccolta).

Si parte con “Molly and Tenbrooks” (conosciuta anche come The Racehorse Song), cover di una canzone tradizionale del tardo XIX° secolo che viene interpretata con delicatezza e dolcezza, sicuramente più intensa e anche molto lontana dalla più nota versione di Bill Monroe. Veramente da ascoltare ad occhi chiusi.

Segue “This Hour of the Day”, un brano dall’avvio certamente frizzante che mette in evidenza una considerevole solidità a livello sonoro e che riesce a catapultarci a qualche decennio fa grazie al riverbero retrò e al sound d’altri tempi. Notevole l’assolo a partire da circa 2’ della nostra time bar.

“Jimmy Two Steps”, pezzo uscito nel 2013 (e contenuto in versione studio nell’album Ruben Minuto & the Good’ole Manners), ci piace. Brillante e senza un attimo di respiro, mantiene alta la tensione d’ascolto dal primo all’ultimo istante. E ci sembra di ascoltare un live che arriva direttamente da quella parte musicalmente affascinante degli States, quella anche un po’ country.

In “Along the Way” ci sembra di vivere quel momento in cui nella sala da ballo viene proposto “il lento” dopo averci fatto saltare sulla pista per ore. È il momento in cui torna la sfumatura “sweet” della voce di Minuto che quasi ci sembra di ricordare un mostro sacro come il compianto Barry White. Davvero da ballare.

La quinta traccia, “You’re the One that I Want”, è inconfondibile fin dalle prime battute del testo: è la cover del più famoso brano del film “Grease”, scritta da John Farrar. L’interpretazione è molto intensa e permette alla melodia di reggere anche senza quel ritmo scoppiettante che la versione del famoso film del 1978 sempre ci ricorda.

Con “High Hell Shoes” si torna ad una traccia made by Minuto e il tour nel sound a stelle e strisce continua con un pezzo che è uscito insieme a “Jimmy Two Steps” nel 2013. Uno di quei brani che non ti fanno ballare ma con i quali non puoi fare a meno di muovere il bacino a ritmo con la canzone. Il cantato qui evidenzia una certa versatilità da parte dell’artista milanese.

E con “Be Alive” si torna, secondo noi, al massimo livello d’intensità emotiva dello stile di Ruben Minuto che, indubbiamente, deve molto anche al supporto strumentale che lo ha accompagnato in questa avventura “live in studio”. Il brano si divide in due distinte parti con la seconda composta da uno strumentale molto interessante. Da ascoltare più volte.

Con “Who Cares” si mantiene il mood rilassante di questa parte finale del disco con un malinconico cantato accompagnato qui da una voce femminile (forse la stessa che abbiamo potuto ascoltare in “You’re the One that I Want” e che ascolteremo poi nella penultima traccia dell’album). Un duetto interessante dove sicuramente la voce dell’artista milanese si impone sull’altra. Si apprezzano influenze più folk sia nella melodia vocale che nella parte strumentale in “In the Hands of Time”. Si sentono l’energia, la vivacità e la complicità nelle voci che cavalcano l’onda di questo gran pezzo.

Ancora malinconia per chiudere la raccolta, con la cover di “Why Should I Be So Lonely”, un pezzo che risale agli anni ’30 e presentato allora da Jimmie Rodgers, ottimamente reinterpretato dal nostro Ruben Minuto che riesce, possiamo dirlo, a farlo suo. Tutto il calore baritonale di questa splendida voce concentrato in questa già gran bella canzone.