Love Ghost – Peace=Madness

COME UNO YO-YO: TRA NARRAZIONE PERSONALE ED UNIVERSALE, TRA L’R&B E IL RAP

Il nuovo singolo dei Love Ghost è una ballata con una melodia orecchiabile, che sposa le sonorità dell’r&b con uno stile rap alla Eminem. Ha un linguaggio scarno, asciutto, che parla di un’esistenza quotidiana ma non per questo meno drammatica. Anzi, che parla di un’esistenza drammatica nella sua quotidianità. Un’esistenza che, nel suo essere individuale, sembra assumere un valore universale, parlando a nome della specie umana, di ciò che ci accomuna tutti. Ogni parola è scandita, dura, sicura, e parla di solitudine, di rottura, di stasi.

Il pezzo si apre senza alcuna introduzione strumentale. Dopo mezzo secondo di vuoto, giusto per lasciarci prendere il respiro, la voce inizia a cantare, scandita dal ritmo costante e netto della drum machine. Saranno la voce e la drum machine a farci compagnia durante i 2 minuti (poco più) di narrazione.

Le strofe, incalzanti e nette, raccontano la storia personale del narratore. Il suo tono e il ritmo sanno di ovvietà. Non è denuncia, ma descrizione di una condizione. È la sua prospettiva che viene data a noi e che, nel suo esserci data, si traduce in una condizione reale, vera, eterna. Del resto, è vero che il modo in cui sentiamo una cosa non può che tradursi nella realtà della cosa stessa, quanto meno nei nostri occhi, nella nostra mente. E ciò che esiste nella nostra mente, quello, è reale. L’ovvietà descritta nelle strofe trasuda una totale drammaticità. L’ovvietà della strofa parla di una condizione di solitudine, incomprensione, rottura. Ci sono le persone, gli altri, un universo di con-specifici che ci affiancano e ci si contrappongono. Sono simili a noi, eppure a volte li sentiamo così diversi. Loro, gli unici che davvero, per genetica e comune appartenenza, possono capirci, sembrano essere i più distanti da noi, i più lontani dal capire come stiamo. Sono lontani e, tutti travolti dai loro drammi personali, non hanno modo e tempo per capire, per capirci, per sentirci. Del resto, loro potrebbero dire lo stesso di noi. Ognuno è solo e accusa tutti gli altri di non capirlo abbastanza, di non essere capace di entrargli abbastanza nell’anima da intuire che ciò che sembra concentrazione, attenzione, è solo una rottura interna, un senso di perdita, di sconforto, di squallore.

Il ritornello sembra discostarsi dal ritmo rap delle strofe assumendo un tratto più melodico. Sembra segnare anche il passaggio dalla condizione individuale, personale, del narratore (al di là di quanto poi questa situazione personale si sia rivelata esemplificativa della condizione di tutti noi) ad una considerazione generale, totale, universale. Sembra essere l’apice di una vicenda che partendo dalle miserie individuali scava a fondo nella miseria umana, nella contraddizione che la caratterizza. In quanto animali razionali ambiamo alla coerenza, la vediamo come una “conditio sine qua non” della nostra vita, ignorandone la connaturata contraddittorietà. La contraddizione è un tratto caratteristico del mondo reale, che ben si allontana dai modelli ideali, matematici, razionali, dei matematici e dei filosofi. Eppure come esseri umani non possiamo che soffrirne, che sentirci spaccati dentro. Al punto da confondere la pace con la pazzia. La gioia con la tristezza. Quanto sono labili i confini! E forse la pace è davvero una pazzia, nel senso di folle utopia.

Nonostante i secoli di storia (e quello che in teoria avrebbero dovuto insegnarci), nonostante le Dichiarazioni Universali dei Diritti, nonostante i proclami e gli ideali, siamo una specie così territoriale, così impulsiva e animata da tale sindrome di onnipotenza, che la guerra potrebbe essere il nostro più cupo destino. E forse, allora, forse per questo la pace è una pazzia. Come uno yo-yo impazzito, l’alternarsi tra strofe e ritornello ci fa proiettare di nuovo nelle amare constatazioni personali, nelle quotidiane tragedie individuali. Il particolare e il generale si alternano in maniera così folle che sembrano intrecciarsi, perdere le loro differenze. Fino a spegnersi nell’ultimo ritornello in un fade out che non sa di rivalsa o di scoperta, ma di bieca, cupa, accettazione.

A cura di Giulia.

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