Intervista a Sonisterica

Il progetto Sonisterica nasce a Sassari nel 2016 come proposta alternativa non omologabile agli schemi moderni del rock e del metal italiano. Qui abbiamo recensito il loro album “Ophion”. Poi li abbiamo intervistati…leggete cosa hanno da dire….

1) Benvenuti su System Failure. Come vi siete conosciuti? Come è nato il progetto Sonisterica? Quale o quali messaggi volete trasmettere con la vostra band, con la vostra musica?

Paolo:
conobbi Antonio e Flavio nel 2006, quando suonavo nella mia vecchia band, gli Achernar. Loro erano rispettivamente basso e batteria degli Egomass, una band molto influente per la scena isolana di quegli anni, con i quali condividemmo il palco tante volte. Alfredo è il più giovane e si fece conoscere e apprezzare qualche anno più tardi come cantante dei Raikinas.

Antonio:
il progetto nacque originariamente dalla necessità mia e di Paolo di dar luce ad una proposta musicale alternativa, libera da schemi e forzature. L’obiettivo era cercare di buttar fuori tutta la rabbia che avevamo dentro per quello che vedevamo intorno a noi. Non abbiamo mai pensato a cercare il consenso, sapevamo che saremmo stati scomodi, ostici all’ascolto, ma questo è l’unico modo che conosciamo per comunicare inquietudine e instabilità. Non troverai colori in Ophion, solo sbalzi d’umore e isterismo!

2) Potete parlarci del vostro background musicale? Potete nominare anche qualche album che ha segnato la vostra vita?

Antonio:
siamo grandi estimatori del Prog e del rock italiano degli anni ‘70, band come Area, Il Balletto di Bronzo, Museo Rosenbach e Osanna sono state sicuramente molto importanti nella nostra formazione. Anche il post-punk e la darkwave (Joy Division, The Cure, Bauhaus) hanno avuto un gran peso, così come l’hardcore (Fugazi), soprattutto quello italiano (Negazione, Nerorgasmo), il metal (Black Sabbath, Motorhead, Voivod, Death, Slayer), lo stoner (Kyuss) ed il grunge (Alice in Chains, Nirvana). Per fare nomi contemporanei di band che stimiamo direi Messhuggah, Dillinger escape plan, Opeth, Tool, Slipknot e Rage Against The Machine, giusto per citarne alcuni. Tra gli album per noi più rappresentativi ci mettiamo Paranoid (Black Sabbath), Arbeit macht frei (area), Rust in peace (Megadeth), Dirt (Alice in Chains), Nerorgasmo (Nerorgasmo) e Unknown pleasure (Joy Division).

3) Come prende forma una vostra canzone? Parlate del processo creativo alla base….

Paolo:
per noi la composizione dei brani non è mai un discorso individuale. Crediamo nel confronto, nella contaminazione e nell’incrocio di idee anche apparentemente distanti. La sfida sta proprio nell’amalgamare e rendere omogeneo qualcosa che in partenza può risultare spigoloso, quasi forzato. Crediamo che questo sia il sistema migliore per tirar fuori le cose più originali, e richiede il coinvolgimento di tutti i componenti, almeno a livello strumentale.

Antonio:
si, si parte generalmente da un’idea che spesso nasce da un sogno, da emozioni derivanti da ricordi di esperienze vissute, o semplicemente dall’osservazione del mondo contemporaneo e delle dinamiche che lo caratterizzano. A quel punto cerchiamo di ricreare l’atmosfera di queste situazioni partendo da un riff di chitarra o di basso, o da un pattern di batteria, e da lì andiamo avanti sempre seguendo questa linea. La cosa importante è non porsi vincoli, buttiamo fuori quello che abbiamo dentro e poi lavoriamo sugli arrangiamenti.

4) Chi cura il songwriting?

Alfredo:
la scrittura dei brani che compongono Ophion è stata caratterizzata da due fasi. La prima, precedente al mio ingresso nella band, è stata dedicata a definire le strutture e le basi strumentali dei pezzi; nella seconda, invece, mi sono occupato di scrivere i testi e creare le linee vocali che meglio si adattassero ai brani. E’ stato un lavoro molto complesso per via della struttura ritmica dei brani, caratterizzati da cambi di tempo continui, e per l’utilizzo dell’italiano, che metricamente presenta delle difficoltà maggiori rispetto all’inglese. Nelle mie precedenti esperienze infatti avevo sempre cantato in inglese, su basi più regolari.

5) C’è un filo rosso che collega le vostre canzoni?

Paolo:
Il filo conduttore è sicuramente l’instabilità, l’assenza di riferimenti e di linearità. Abbiamo provato a raccontare a modo nostro l’incertezza del futuro, l’indifferenza verso chi è in difficoltà, l’isterismo di una società moderna governata dall’arroganza dei più ignoranti. I brani sono scuri, nevrotici e ricchi di sbalzi d’umore perché questo è lo stato d’animo che ci suscita ciò che vediamo quotidianamente. La scelta dei suoni così cupi e dell’accordatura ribassata è dettata proprio dall’esigenza di trasmettere queste sensazioni.

6) Abbiamo recensito il vostro “Ophion”(artwork subito sotto). Di cosa parlano i testi? Quali sono le vostre fonti di ispirazione?

Alfredo:
Nella stesura dei testi cerco sempre di essere il meno esplicito possibile. Ricerco uno stile non banale, personalmente mi ispiro a band come Afterhours, Verdena e Litfiba. Nella composizione ho preso spunto dal mito di Ophion, una divinità serpente primordiale, il quale compie un viaggio come allegoria di un percorso di redenzione e di fuga verso una nuova realtà. L’idea mi è venuta dal primissimo nome dei Sonisterica, appunto Ophion, con il quale abbiamo voluto mantenere un legame scegliendolo come nome all’album. “Serpente” parla di un’evasione da una prigione, che è quella della società moderna occidentale, nella quale l’individuo viene sempre più spogliato della sua libertà. “Selene” racconta di uno stupro che sfocia nella morte della povera malcapitata. Il senso di “Luce” lo si può ritrovare nel mito della caverna di Platone, una presa di coscienza ultraterrena, mentre per “Carmina” mi sono ispirato alla poesia del frammento 31 di Saffo e al carme 51 di Catullo, due opere che parlano degli effetti del mal d’amore. “La ricetta del Caos” e “Zero” sono sicuramente i testi più astratti e trattano il tema della fine del tutto, una rivoluzione nella quale il tempo in cui viviamo viene sostituito da una nuova realtà in cui tutti gli esseri viventi trovano il proprio spazio.

7) Dove è stato registrato Ophion? Che tecnica di registrazione è stata usata? Qualche difficoltà nel processo di registrazione? Qualche aneddoto?

Flavio:
le riprese sono fatte in casa mentre il mixaggio e il mastering sono stati curati rispettivamente da Fabio Demontis e Andrea Pica. Durante le riprese abbiamo avuto qualche problema con il basso perché uno dei microfoni utilizzati per microfonare la cassa era difettoso e distorceva le parti pulite. Dopo vari tentativi andati a vuoto, Antonio ha dovuto rifare da capo tutte le parti. Per il resto, le cose sono filate senza intoppi.

Alfredo:
abbiamo iniziato dalla batteria, sono stati utilizzati 10 microfoni per cercare di acquisire più elementi possibili. La difficoltà maggiore è stata sicuramente la ricerca dei bpm del metronomo e di tutti i cambi di tempo. Per la chitarra sono stati usati 3 microfoni in modo da poter recepire il più possibile il suono del cono dell’Ampli. Per il basso abbiamo lavorato con una diretta dal basso alla scheda audio, una diretta dalla testata e un microfono sull’amplificatore. Per la voce è stato impiegato un microfono a condensatore accoppiato agli effetti per voce che uso in Live, il tutto per ricercare un suono che fosse più possibile fedele a ciò che si sarebbe poi andato a suonare dal vivo.

8) Quale traccia preferite di questo album?

Flavio:
“Luce” e “Selene” sono probabilmente le più riuscite da un punto di vista dell’equilibrio tra le varie anime che caratterizzano il nostro sound e la nostra idea di brano. A livello affettivo restiamo molto legati a “Serpente” e “Zero”, perché sono i primi pezzi che abbiamo composto, mentre “Carmina” e “La ricetta del Caos” sono le due canzoni che offrono più spunti per i lavori futuri.

9) Cosa rappresenta la cover del vostro album(subito sopra)?

Antonio:
è la riproduzione di un sogno che feci qualche tempo fa, poco prima che iniziassimo le registrazioni dei brani di Ophion. Rappresenta il senso di inquietudine e di ansia racchiuso nei nostri pezzi, quella sensazione di non avere più una via d’uscita. La vita a volte ci pone di fronte a situazioni scomode e per uscirne subito proviamo a cambiare strada, ma troviamo comunque la via sbarrata, porte chiuse. La morale è che non esiste una scorciatoia, bisogna sempre affrontare i propri demoni per poter andare oltre.

10) Bello il video di “Luce”. Come nasce un vostro video?

Paolo:
quello di “Luce” è stato il nostro primo video, completamente “homemade” a costo zero. Abbiamo voluto sperimentare questo tipo di soluzione perché le proposte ricevute dai vari videomaker con cui abbiamo dialogato non ci hanno convinto fino in fondo. L’approccio seguito è stato molto istintivo, abbiamo cercato video e immagini, alcune scaricate e altre fatte con lo smartphone, che riuscissero a comunicare e trasmettere visivamente ciò che avevamo provato ad esprimere con la musica. “Luce” è un viaggio caotico e nevrotico nella società moderna, ma anche un’analisi della propria interiorità; è un’esplosione di rabbia di fronte all’impotenza di cambiare le cose che non ci piacciono.

11) Nel vostro sound convivono cose diverse…..come lo avete elaborato?

Flavio:
Abbiamo da subito lavorato per ottenere un suono pieno e “caldo” che si staccasse in maniera netta da molte produzioni moderne che suonano a nostro avviso troppo finte. L’obiettivo era cercare un equilibrio tra pulizia e impatto sonoro, provando a ricreare a modo nostro quelle atmosfere avvolgenti tipiche del prog-rock ‘70, giusto per fare un esempio, senza perdere però attacco e gain, soprattutto nelle parti aperte. Da qui la scelta di una chitarra “slabbrata”, con accordatura super ribassata (una 6 corde accordata in drop B!) e ricca di bassi, e per contro un basso squillante in primo piano per garantire groove e pulizia. In questo modo siamo riusciti a creare un incastro perfetto che ci ha consentito di evitare l’aggiunta di un secondo chitarrista che avrebbe potuto alterare l’equilibrio che avevamo creato tra noi. La batteria suona tipicamente rock, rotonda e in linea con gli altri strumenti.

12) Se la vostra musica fosse una città, a quale assomiglierebbe? E se fosse un film o un libro?

Paolo:
tra le città direi un mix tra Berlino e Torino, per l’atmosfera che si respira!

Antonio:
pensando ad un film sceglierei “Requiem for a dream” o “The Cube”, mentre il libro giusto potrebbe essere “Il gioco di Gerald” o “Shining”.

13) Progetti futuri?

Flavio:
Ora la priorità è promuovere al meglio Ophion e presentarlo dal vivo. L’obiettivo dei prossimi mesi quindi è suonare il più possibile, e possibilmente in contesti che ci diano un minimo di visibilità facendoci incontrare persone con cui eventualmente collaborare in futuro. Archiviata questa fase, penso che per l’estate prossima torneremo a dedicarci alla composizione del nuovo materiale, abbiamo già qualche idea interessante su cui lavorare!

14) Per finire, salutate i nostri lettori ed invogliateli ad ascoltare la vostra musica…..

Alfredo:
Ringraziamo la redazione di System Failure, in particolare Felice, per averci dato l’opportunità di parlare di Ophion. Salutiamo i lettori di System Failure e li invitiamo a dare un ascolto al nostro album. Se siete alla ricerca di qualcosa di nuovo e siete disposti a dedicare tempo all’ascolto, Ophion è quello che fa per voi! Perciò aprite Spotify o Bandcamp, mettete su le cuffie e mandate in loop questi 7 brani, sicuramente non vi lasceranno indifferenti. Un saluto isterico a tutti!

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