Intervista a Sarah
1) Benvenuta su System failure. Presentati ai nostri lettori. Racconta il tuo percorso artistico fino a qui.
Ciao a tutti! Beh, diciamo che il mio percorso artistico prende forma sin da quando sono molto piccola! Sono sempre stata attratta da ogni forma d’arte, soprattutto dalle arti dello spettacolo, e quindi dal mondo della musica e del cinema. Ricordo che già da bambina, avrò avuto sei o sette anni, grazie ai miei genitori avevo già sviluppato una cultura musicale non da poco, che ricopriva tutta la fascia degli anni ’80, soprattutto. Poi con il tempo ho iniziato ad interessarmi al mondo della musica e del cinema in maniera sempre più assidua: guardavo un quantitativo esagerato di film e commedie musicali, il che mi ha spinto ad entrare in un progetto scolastico di musical quando ero in prima media, per esercitarmi ed imparare tutte le tecniche di recitazione. È stato in quelle circostanze che ho capito la mia vocazione per il canto e per la musica in genere. Da lì in poi, non mi sono più fermata, e negli anni mi sono sempre di più avvicinata ad un discorso che andava fuori dall’ambito del musical: all’età di undici anni ho preso una chitarra di terza mano senza saperla suonare e ho cominciato a scrivere le mie canzoni, e lo stesso è avvenuto l’anno scorso con il pianoforte. A dodici anni mi sono iscritta ad un corso di canto moderno e a tredici ho iniziato con i primi concorsi, arrivando alle finali del concorso Baby Voice Castrocaro, che mi ha portata ad aprire il festival di Castrocaro in diretta su Rai 1 assieme agli altri finalisti. È proprio nel mondo dei concorsi che ho capito quanto il mondo della musica, o comunque dello spettacolo in genere, sia difficile e spietato. Vedevo un sacco gente che aveva una gran fame di vittoria e poca fame di genuinità e personalità. A me alla fine ciò che importava era esibirmi, cantare, emozionarmi ed emozionare, permettere alla gente di sentire la mia musica. Dopo essermi classificata in vari concorsi e aver ottenuto riconoscimenti e borse di studio, nel 2016 ho vinto il concorso Little Voice con una cover di Hallelujah di Leonard Cohen, concorso che mi ha messa in contatto con Manuel Auteri e la San Luca Sound. Il premio consisteva nel poter passare una giornata in studio dove produrre un brano, che di partenza doveva essere una cover. Poi a casa ho guardato il pacco di canzoni scritte e mai prodotte che avevo nel cassetto e ho detto “Ma io voglio fare una canzone mia!”. E così è arrivato il mio primo brano, Young, con il quale è iniziato il progetto di realizzazione del mio primo album, che tutt’ora sto portando avanti. Produrre Young mi ha dato una carica ed una voglia di fare che non avevo mai provato prima. È stata sempre Young a portarmi tra i pochissimi finalisti del VideoFestival Live, dove ho cantato davanti ad una giuria di grandi cantanti e produttori della musica italiana, tra i quali Mara Maionchi e Alexia. E poi è nata Home e la volontà di fare uscire il mio primo singolo. Lo dico piano, ma pare stia andando tutto bene!
2) Come è nata in te la passione per la musica?
Come dicevo, in maniera totalmente naturale e spontanea sin da quando ero bambina. È difficile da spiegare, ma il mondo della musica è l’unico dove mi sento totalmente a mio agio, l’unico che mi dia la possibilità di esprimermi senza alcun filtro. Ho dei filmati di me a sei anni che giro per casa ballando e cantando, sentivo che quello era il mio modo di essere e che quello era ciò che dovevo e volevo fare nella vita. È vero, sono ancora molto giovane, ma non ho dubbi su questo. Ho scoperto che potevo cantare in maniera un po’ brusca e un po’ divertente, ma poi nessuno è stato più capace di farmi stare zitta. Una volta che ho iniziato a prendere lezioni e a scrivere canzoni la cosa è esplosa completamente in me, magari ho anche perso un po’ il controllo e forse ho sviluppato una sorta di dipendenza, ma sento sempre il bisogno di scrivere e di cantare, di trovare un modo per far sapere a tutti ciò che mi accade e ciò che accade ad altri. La passione è nata proprio perché sentivo di stare facendo la cosa giusta per me. È una delle poche cose di cui anche oggi posso dire “Dai, questa l’hai fatta giusta!”.
3) Ci parli del tuo background musicale? Nomina tre album o canzoni che ti hanno segnato…
Sono davvero numerosissimi, sono quel tipo di persona che non ha mai saputo rispondere alla domanda “Qual è la tua canzone preferita?”, perché di canzoni che mi hanno segnata e che hanno dato una svolta alla mia persona ce ne sono davvero moltissime. Però in maniera particolare, sicuramente mi piacerebbe ricordare The Sound Of Silence assieme a Breathe Me di Sia e a Paralyzed di NF. Mi hanno fatto capire il valore di alcune cose quando non lo vedevo più.
4) Dal primo novembre in oltre 150 Radio si può ascoltare Home, il tuo primo singolo. Come è nato? Di cosa parla? Ho letto che sei autrice di testo e musiche. Insomma, raccontaci tutto per bene…
“Home” è nata per caso e anche un po’ per rabbia. Era uno di quei pomeriggi in cui avrei dovuto studiare, ma ho avuto la brutta idea di mettere il pianoforte di fianco alla scrivania, avevo un tremolio alle dita e sentivo il bisogno di scrivere qualcosa. Era il periodo di massima produzione per me, stavo scrivendo tutti i pezzi che sarebbero poi stati parte del mio primo album e mi sentivo ispirata al massimo. Ho buttato giù un giro d’accordi al pianoforte, ci ho giocato un po’, e poi ho scritto il pezzo. In quel momento mi sentivo particolarmente disturbata da un atteggiamento che purtroppo nella nostra società è sempre più diffuso. Vedo sempre più spesso persone concentrarsi esclusivamente su di esse e sul raggiungimento dei loro obbiettivi: pur di arrivare, sono disposti a prevaricare chiunque, non perdono mai e sembra quasi abbiano esaurito i sentimenti. Se apro un social qualsiasi, vedo più volte la parola goals della parola love. Sembra quasi che ci siamo dimenticati persino come si fa a condividere la nostra vita con qualcuno, quando l’unica cosa di cui abbiamo realmente bisogno, è semplicemente un posto sicuro, qualcuno da poter chiamare “casa”. E tutto questo va ben oltre il concetto di “relazione amorosa”. Alla fine siamo tutti esseri umani, infinitamente vulnerabili, dovremmo smetterla di preoccuparci così tanto di noi stessi e aprirci a qualcuno, perché ne abbiamo bisogno. Non volevo attaccare nessuno in particolare, né lamentarmi, né denunciare la società tutta, ma semplicemente condannare alla mia maniera qualcosa che non mi piace e che, se cambiasse, risolverebbe la maggior parte dei problemi di questo mondo. Questo mondo ha bisogno di pace.
5) Se la tua musica fosse una città a quale assomiglierebbe? E se fosse un cocktail o un quadro?
È una delle domande più difficili che mi abbiano mai fatto! Se fosse una città, direi Praga, se fosse un quadro, la Notte Stellata di Van Gogh.
6) Come prende forma una tua canzone. Ci parli del processo creativo alla base?
Alla base, serve sicuramente il momento giusto. Cerco sempre di raccontare una storia, nelle mie canzoni, non mi piace scrivere cose per caso. Quindi il tutto avviene o quando mi succede qualcosa, o quando qualcuno mi racconta una storia che valga la pena raccontare al mondo attraverso la musica e le parole. Di solito, tendo a scrivere prima la musica e poi le parole. Il pianoforte è il mio fedele compagno in tutto questo, anche se spesso, avendo fatto tutto da autodidatta, non risulta semplicissimo. Ho sempre scritto unicamente in inglese, è la lingua in cui sono sempre riuscita ad esprimermi meglio. Per la durata della creazione, dipende dalla canzone: Home l’ho scritta in mezz’ora, ma ne ho altre per cui ho impiegato anche tre giorni.
7) Quale è la tua massima aspirazione? Dove ti vedi tra 5 anni? Su quale palco vorresti suonare?
È una domanda impegnativa, se fossi io stessa a chiedermelo, probabilmente non saprei quasi rispondermi! Sicuramente la mia massima aspirazione è continuare a lavorare sempre nel mondo della musica, sia come cantante e cantautrice, ma anche in tutti quei processi che riguardano la produzione e la nascita di ciò che è musica in generale. Se ne parla sempre troppo poco e invece è alla base. Non nego che il sogno di fare la cantante e di girare il mondo con la mia musica, di modo che tutti possano sentirla e sentirsi ispirati, non mi ha mai abbandonata. Credo che il giorno in cui qualcuno verrà a dirmi “Ehi lo sai, non ci stavo capendo più niente e la tua musica mi ha dato l’ispirazione e la forza per cambiare le cose.”, allora sarò arrivata a quello che io ora considero il massimo.
Tra cinque anni mi piacerebbe aver trasformato tutto questo in realtà, aver fatto uscire il mio primo album e lavorare al secondo, e semplicemente cantare. Penso spesso a quale palco vorrei calcare, fino a qualche tempo fa in cima alla mia lista c’erano quello del Madison Square Garden e quello della Royal Albert Hall. Oggi ho capito che non importa quanto figo sia il posto, anzi, non importa nemmeno che ci sia un palco, importano le vibrazioni che ricevi da chi ti ascolta, e possono essere ovunque.
8) Con quale artista italiana/o sogni di collaborare per il futuro?
Italiani non molti in realtà, sono più gli stranieri, ma se devo dirne uno, mi piacerebbe moltissimo collaborare con Marco Mengoni. È di una forza e purezza disarmanti.
9) Per finire, perché ascoltare Sarah?
È strano dover dire agli altri perché dovrebbero ascoltarmi, ma credo sia perché tutto quello che scrivo è vero. O è successo davvero, o è tutto ciò che penso in merito ad una determinata cosa. E forse anche perché le sonorità delle mie canzoni non sono mai casuali, c’è sempre una grande ricerca. È ciò che una persona dovrebbe ascoltare se sta cercando qualcosa di vissuto, nelle parole e nei suoni.
bell’intervista 🙂