Intervista a Roberta Faccani

La sua carriera inizia negli anni ’90 come vocalist e corista per artisti come Paola Turci, Adriano Celentano e Ornella Vanoni, ci dice il comunicato stampa. Cosa ci puoi raccontare di queste tue prime esperienze? Che emozioni hai provato?

L’ emozione prevalente di quegli anni resta ricordare quanto dura, lunga, dedicata e appassionata sia stata la mia gavetta e quanto agognato e sudato ogni piccolo risultato. Quando a 26 anni dopo la morte di mia madre ho lasciato la provincia, (sono nata e cresciuta ad Ancona), per cercar fortuna a Milano, avevo già all’attivo otto anni di esperienze live nei club, un diploma al C.E.T. di Mogol, vittorie a concorsi canori, (persino un secondo posto a Castrocaro che in quel periodo, gli anni 90, era l’anticamera per Sanremo giovani); eppure, non era ancora accaduto nulla di concreto. Pertanto, ho faticato tantissimo per arrivare a farmi conoscere dalla discografia come interprete e cantautrice. Iniziare come corista live, tv e in studio di registrazione, è stato un modo “alternativo” di entrare nel vero professionismo e quindi, una prima enorme conquista in tal senso. Il mondo del corismo oltretutto, era ed è un ambiente molto chiuso e competitivo e resta un mestiere difficilissimo, che pretende caratteristiche ben diverse dall’essere cantante solista. Ritengo senza ombra di dubbio, che mi abbia insegnato moltissimo tanto da poterlo considerare uno step fondamentale del mio percorso di conoscenza e disciplina della vocalità.

Poi i Matia Bazar che tutti conosciamo. Cosa rappresentano per te?

I miei Matia Bazar, quelli di Golzi, Cassano e Perversi sono stati talmente tante cose messe insieme, che dare una risposta poco articolata rischierebbe di non esprimere del tutto il mio sentire. Di sicuro, un caleidoscopio di vissuto artistico e umano pieno di sfaccettature articolatissime e persino contraddittorie fra loro, a cui personalmente ho dato tutta me stessa con testa, anima e cuore in termini di assoluti devozione, amore e rispetto e forse, a dirla sinceramente tutta, non sentendomi ricambiata del tutto come credo avrei invece meritato. Vocalmente di sicuro, sono stata un totale rinnovamento e apertura alle nuove generazioni, pur paradossalmente dovendomi districare come un funambolo, tra esigenze aziendali artistiche e di marketing già stra-collaudate e ben precise, e contemporaneamente corrispondere a richieste di unicità e diversificazione, nella precisa richiesta di sovvertire schemi pregressi; insomma, una “faticaccia” che ho vissuto talvolta quasi come una roulette russa. Sentivo di dover accontentare tante cose che mi si richiedevano e che facevano leva sulla mia poliedricità, ma mai spalleggiata ed espressa fino in fondo. Personalmente dopo questa esperienza, ho capito molto bene come vivere la notorietà, le responsabilità e la diplomazia. In ogni caso, sono grata per sempre a quei sei anni perché mi sono arricchita di tante competenze e sono onorata di aver contribuito ad una storia musicale così importante del nostro paese e non solo. Per ognuno dei miei ex compagni di lavoro poi, ho voluto conservare sempre e comunque enorme rispetto e ad oggi, mi piace solo ricordare le cose più belle vissute insieme perché io, so dare valore alla riconoscenza.

E riguardo i musical cosa ci puoi dire?

Il teatro musical è stata la mia seconda casa o meglio una coabitazione. E’ arrivato per caso, ancora prima della discografia e poi, in alternanza ad essa; credo proprio mi abbia scelto lui mentre sognavo fin da bambina, di diventare una rock star! Ho sempre saputo di avere anche attitudini alla recitazione ma probabilmente, o le avevo sottovalutate o forse date talmente per scontate nel mio modo di “fare anche la cantante”, da non capire che quella mia naturalissima predisposizione senza bisogno di “pensarci tanto su”, sarebbe diventata un altro modo di esprimere le mie doti artistiche! E’ stato il Maestro Pavarotti a capirlo per primo offrendomi la grande occasione di debuttare nella versione italiana di “Rent” nel 1999 e da li’ in poi, le tavole del teatro mi hanno regalato opportunità di lavoro straordinarie sempre di estrema qualità.

Senza far rumore” è il nuovo singolo di Roberta Faccani. Lo puoi presentare ai nostri lettori?

E’ semplicemente un desiderato atto d’amore che per anni ho sentito di dover fare per omaggiare il ricordo umano e professionale di Giancarlo Golzi, batterista, co- fondatore storico e anima pulsante dei Matia e che tanto volle la mia entrata nella band dopo la mia audizione nel 2004. Fu il primo di loro che conobbi ma purtroppo l’unico che non ho più visto né sentito dopo la fine del nostro sodalizio artistico, nemmeno per potergli dare l’ultimo saluto in seguito alla sua improvvisa e prematura scomparsa avvenuta nel 2015. Per rispetto di equilibri delicati di quegli anni, ho preferito farmi da parte “senza far rumore”…fino ad oggi! Quest’anno ricorrono i dieci anni dalla sua morte e ho sentito fosse finalmente l’occasione giusta per abbracciare “zio Gianca” come lo chiamavo io o “Capitano” Golzi come lo chiamava anche tutto il popolo dei fans Matia. Era un grande musicista e un grande manager, uomo di poche parole ma di grande carisma e autorevolezza. Personalmente mi ha lasciato degli insegnamenti e consigli talvolta persino duri, ma che hanno contribuito a forgiare e maturare il mio carattere rendendomi la donna solida e pragmatica di oggi! Il suo sguardo, il suo carisma sul palco, il suo essere una guida con indefessa devozione al marchio Matia Bazar, sono tutte suggestioni che ho voluto incastonare in questa preghiera- dialogo che contiene un enorme ringraziamento per quegli anni di vita professionale e umana vissuti con lui e ovviamente con Piero Cassano e Fabio Perversi.

Il videoclip di “Senza far rumore”. Dove è stato girato, da chi? Spiegaci tutto per bene…

Per questo video, (come per altro per l’arrangiamento del brano, curato dal bravissimo ed esperto musicista Marcello Colò), ho scelto volutamente di collaborare solo con professionisti della mia regione, (le Marche), che stimo e conosco da tempo. Il regista del video è Daniele “Cuk” Graziani che, oltre ad essere un creativo, sensibile regista e fotografo, è anche un bravissimo batterista che da ragazzino mi veniva a sentire quando cantavo nei club! Non lo vedevo da allora ma è come ci fossimo sempre frequentati. La sintonia è stata immediata, ha capito le mie esigenze di eleganza, dignità, emozione e persino gioia, che volevo trasmettere nel video clip. La scelta delle immagini in bianco e nero ha trasmesso un senso di compostezza e misticismo ed è riuscito anche magicamente a farmi trasformare nella figura di Giancarlo alla batteria, (che peraltro è da sempre il mio strumento preferito). Il tutto è stato girato a Porto Sant’Elpidio nel suo fantastico CUK.STUDIO, una location ospita anche concerti! Tutto fantastico davvero!

Oltre la musica quali forme d’arte ti appassionano?

L’arte mi piace tutta ma sogno particolarmente di fare cinema, (che ho appena sfiorato con una piccola particina una sola volta ma che mi ha stregata! ) Per il resto amo tutto ciò che si svolge non per forza sopra al palco ma anche dietro le quinte, come insegnare canto, scrivere canzoni e produrre altri artisti e non a caso ho creato un format che si chiama “La Fabbrica del cantante-attore”, (con sede ad Ancona), che si occupa di tutte queste cose per dare una mano ai giovani talenti che vogliono tentare di fare questa difficile professione preparandosi seriamente. Adoro anche il decoupage e quando ho tempo mi diverto a rimettere a nuovo mobili o decorare oggetti!

Siamo in un’epoca di femminicidi purtroppo. Per te quali sono le cause e quali i possibili rimedi?

Argomento delicatissimo e ostinatamente attuale purtroppo. I rimedi precisi non li conosco ma prendendola più alla larga dico ciò che penso in generale della società di oggi: sarò anche illusa e demode’ ma secondo me manca un serio ritorno ai valori cristiani o quantomeno a quello che si chiamava senso civico, all’unione e dialogo in famiglia, ai “no” dei genitori, al rispetto verso insegnanti ed istituzioni, alla disciplina e cultura. Inoltre manca una cosa che aveva la mia generazione: il sogno, la passione, la fame di arrivare a raggiungere una qualsiasi piccola o grande meta senza pensare solo ai soldi e al successo facili ma attraverso lenti sacrifici e lunghe attese. Inoltre, avevamo la poesia della semplicità e anche un senso un po’ naif di interpretarla…La vita oggi va solo di fretta e tutto si pretende in un attimo, il prossimo non conta nulla, il sesso non è più una scoperta graduale e la noia per tutto e tutti porta alla nullafacenza. Quest’ultima con tutti i vizi del mondo, fa obnubilare le menti e chi non spera niente e chi non è curioso, diventa solo cattivo e chi è cattivo usa violenza… ecco la catena di montaggio. Sono ancora però piuttosto certa solo di un cosa perchè essendo femmina, ho conosciuto un aspetto limitante di noi donne e che personalmente ho dovuto abbattere a forza di batoste: dentro ogni donna, a partire da quando si è ragazzina, purtroppo o non purtroppo per istinto esiste il mito del “principe azzurro”, (anche se a volte oggigiorno non sembra). E’ questo uno dei due veri tallone d’achille del sesso femminile, (l’altro è l’invidia tra donne): il non saper rinunciare a pensare di bastare a noi stesse se non si trova l’uomo giusto e che piuttosto che rimanere sole, sia giusto accettare “la qualsiasi” o peggio pure, credere di essere quella che “lo cambierà”. Donne che amano troppo, uomini che non sanno amare. Eco con Narciso si sa che fine ha fatto…

Quale è la differenza per te tra essere un’artista ed un’insegnante?

Ci sono molti artisti anche bravissimi che non amano insegnare o non lo sanno fare e altri che non vogliono proprio donare il loro sapere. Però direi una cosa che penso seriamente e cioè che insegnare bene è comunque un’arte nell’arte e che pretende un approccio tecnico, psicologico e una precisa volontà generosa di donarsi. E’ quindi in ogni caso, comunicazione. Il didatta ha bisogno di emozionare ed emozionarsi pur mantenendo contemporaneamente un approccio non emotivo proprio come deve fare un professionista sul palco. Secondariamente il didatta serio deve amare il talento altrui, accrescerlo come una perla in una conchiglia e trovare l’interazione giusta e differente per ogni allievo cosi come l’artista dovrebbe imparare a fare con il proprio pubblico ogni sera diverso. Per me infondo il grande insegnante che chiamerei l’artista della didattica, è colui che davvero esplora, vivifica, esalta, accresce le doti del proprio allievo e gode dei suoi miglioramenti ma sempre nella esaltazione di una altrui unicità e mai nella pretesa di creare dei propri cloni.

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