Intervista a Paolo Baltaro
1)Benvenuto su System failure. Ho letto che hai fondato Banksville Records. Ci racconti qualcosa a riguardo?
Siccome mi hanno detto che quando prendi un Grammy le etichette ti fregano le royalties, ho deciso di fondarne una mia. Parlando seriamente, è un parcheggio. Ci parcheggio cose in attesa di trovare sistemazioni definitive. In quindici anni abbiamo formato un bel catalogo, decisamente fuori dagli schemi.
2)Puoi parlarci anche del tuo percorso artistico come musicista?
Sono un produttore, suono un po’ tutti gli strumenti, ho inciso una quarantina di album come produttore e circa venti con progetti miei: due dischi solitsti, sei con gli sperimentali S.A.D.O., due con il rock progressivo degli Arcansiel, il blues degli Mhmm con il disco Do Not Disturb, ed oggi con il mio nuovo gruppo, i Pillheads, con i quali ho appena registrato un album dal vivo che uscirà a breve con cui suono brani che ho scritto per tutti i progetti precedenti, mischiando i vari generi senza alcun ritegno, più brani nuovi.
3)Come è nata in te la passione per la musica?
All’asilo, non volevo dormire al pomeriggio e la direttrice mi obbligava ad andare a imparare la chitarra da una suora al piano di sopra, che la insegnava. L’alternativa era che io passassi il tempo a sbrandare gli altri che dormivano, cosa non gradita evidentemente. Ma sono stati poco dopo i Beatles che mi hanno acceso la passione.
4)Ho letto che hai vinto il Darwin award non-conventional music (2009). Come è stato vincerlo? Che emozioni hai provato?
Fu per l’album Weather Underground sei S.A.D.O. Mi ha fatto piacere, vincere premi contribuisce alla salvaguardia dell’autostima.
5)Il tuo ultimo album si chiama “The Day After The Night Before”. Come è nato? Dove è stato registrato? Qualche aneddoto a riguardo?
In parte l’ho fatto a Londra e a Vercelli, le città dove Banksville ha i suoi studi, ma tre brani li ho registrati allo studio 150 di Amsterdam, dove spesso va a registrare Paul Weller, mi piacciono molto i suoi suoni. Ero con Alessandro De Crescenzo, Andrea Fontana e Simone Morandotti, al mixer mi aiutava Cristian Milani. Nessuno di noi due sapeva usare quella chiavica che è Pro Tools e, nel sistema dello studio, era un casino mettere su una versione volante di Cubase o di Logic per cui abbiamo tirato qualche accidente. Immaginati però stare ad Amsterdam a registrare una settimana, ci siamo divertiti un sacco. Appena arrivati, l’appartamento in cui dovevamo stare non era più disponibile per un errore di prenotazione e abbiamo vagato ore con gli strumenti in spalla fra un coffee shop e l’altro mentre io tiravo giù i fulmini del cielo al cellulare, in cerca di un piano. A posteriori, direi che è stato quasi divertente, ha fatto parte dell’avventura. Un’altra cosa a riguardo al disco, è la presenza dell’unica cover, una versione di Bike, di Syd Barrett. Era nata per una compilation da fare con i S.A.D.O. Era stata registrata per errore perché il pezzo che dovevamo fare era in realtà un altro. L’ho ripresa e l’ho messa nel mio album. La suono adesso anche live, con i Pillheads.
6)Su quale canzone di questo album mi dovrei soffermare?
Non mi piace pensare ai singoli, già troppo lo faccio quando lavoro per altri. Preferisco ragionare a dischi interi, per quanto riguarda la mia musica. Per farti una metafora, mi interessa più la forma di saggi e romanzi rispetto a quella dei sonetti. Sono consapevole che, oggi, la forma di fruizione della musica è una pillola ad un unico dosaggio, da consumare in fretta. Ma per il momento, non è che mi importi tanto vendere ad ogni costo. Preferisco andare contro tendenza e fare dei concept album. Questo perché unisco diversi generi. Se ti soffermi su Goodnight potresti pensare che faccio del blues, se senti Cole Porter and Frankz’s Birthday Party penseresti che sono solo pazzo, se ascolti Sunny Days ti focalizzeresti sull’atmosfera Alternative Rock. Pere me è il discorso che scaturisce da tutte queste cose a fare il disco. Andrebbe ascoltato dall’inizio alla fine.
7)Quali sono le differenze tra questo ultimo album e i tuoi lavori precedenti?
Ho marcato ulteriormente proprio quest’ultimo aspetto. Già prima tendevo a uscire dai confini di un unico genere, ma con più prudenza, essendo i precedenti lavori dichiaratamente Blues, Alt rock, Jazz, Punk…
8)Ci parli un po del tuo background musicale? Che musica ascolti?
Fino ai dieci anni, ascoltavo Beatles e quasi solo Beatles, con un po’ di Battisti, Bacharach e i primi gruppi punk di scuola bolognese. Poi, sui vent’anni, ascoltavo John Coltrane, i Doors, Zappa, i Pink Floyd, il Punk tutto, i Megadeth e altro, senza tralasciare le mie prime passioni: “Beatles” è una parola che ancora oggi mi dà il groppo in gola solo a pronunciarla. Di recente ho aggiunto alla lista Eg White, i Sigur Ros, ho riscoperto gli anni 80 che da piccolo rifiutavo perché dovevo ancora un po’ crescere, e un po’ tutta la musica del ‘900, i miei ascolti non hanno filtri particolari.
9)Con quale artista o band sogni di collaborare? Con chi sogni condividere il palco?
Ringo Starr. Tutta la vita. Anche con Dalla mi sarebbe piaciuto avere a che fare. Ma te lo dico solo perché tre giorni fa ho scoperto l’LP Com’è profondo il mare (che non conoscevo) e sto dando di matto da quanto mi piace. Però, se me lo chiedi la prossima settimana, ti dirò probabilmente qualcun altro. Per esempio, ho sul tavolo l’ultimo di Waters che non sono ancora riuscito a sentire. Sono di facili costumi, lo ammetto.
10)Per finire, un messaggio per band ed artisti che si stanno incamminando per la prima volta nel mondo della musica…
La fortuna non serve, serve il potere.