Intervista a Napodano

Cantautore disilluso e autentico, Napodano si è sempre distinto per una scrittura schietta e senza fronzoli, capace di scavare nell’intimo senza cedere al melodramma. Il suo percorso artistico, lontano dalle mode e dalle scorciatoie dell’industria musicale, si nutre di osservazione tagliente e di una sincerità a tratti disarmante. Con una poetica che mescola ironia e malinconia, Napodano racconta la quotidianità nelle sue crepe più vere, mantenendo salda la sua identità anche a costo di restare ai margini del grande pubblico. In occasione dell’uscita del suo nuovo singolo, “Niente di speciale”, lo abbiamo incontrato per farci raccontare questo nuovo tratto del suo viaggio musicale.

Benvenuto, Napodano. La tua scrittura evita il melodramma, ma sfiora spesso l’intimo, lo scomodo. Non temi che questa schiettezza possa alienarti una parte del pubblico più “addomesticato”?

Ciao e grazie di ospitarmi di nuovo! Credo sia un po’ troppo tardi, ormai il danno è fatto! Tra una ventina di giorni esce la mia quarta raccolta di inediti e il tempo, credetemi, non mi ha addolcito affatto, anzi. Sono consapevole che non potrò mai arrivare al grande pubblico e cerco sempre di crearmi e far contenta la mia piccola piccola nicchia che apprezza la mia maniera di scrivere le canzoni. Poi nella prossima vita, quando rinascerò e sarò 18enne con un bel sedere, una storia strappalacrime, andrò in un talent e poi finalmente potrò realizzare il mio sogno di scrivere una canzone di neanche tre minuti con un testo di neanche 40 parole ma con 6 autori e una produzione sanremese!

In un panorama in cui l’auto-tune regna e l’estetica batte la sostanza, la tua è quasi una scelta controcorrente. È più coerenza artistica o strategia consapevole?

No, peggio, la mia è una scelta finanziaria! Non ho possibilità (e neanche la voglia) di permettermi uno studio iper professionale che darebbe alle mie canzoni una produzione e un suono patinato e pronto per scalare le classifiche di ascoltatori che se poi gli domandi “di che parla il testo di questa canzone?”, ti potrebbero rispondere “ma perché, aveva pure un testo?”. Tranquilli, riesco a stonare anche senza autotune e quello che riesco a suonare io, lo suonerò, altrimenti non fa niente, rimarrò come sempre fuori dalle classifiche.

L’essenzialità dell’arrangiamento in “Niente di Speciale” è disarmante. In un’epoca di sovra-produzione sonora, hai mai avuto la tentazione di “sporcarla” un po’? Di arrenderti all’effetto?

In realtà l’ho sporcata tantissimo! L’ho registrata a febbraio e si sentono i trattori che passano sotto casa mia appena usciti dal campo, si sente la pioggia, si sentono gli schiocchi della mia saliva! È veramente far-west!

Parli spesso di quotidiano, ma con lo sguardo di chi ne vede le crepe. Quanto c’è di autobiografico e quanto di osservazione nel tuo modo di scrivere?

Io sono un socio-patico, esule, autocritico e a volte pure autodistruttivo, il bicchiere per me non è né mezzo pieno né mezzo vuoto, è proprio rotto. Scrivo i testi delle canzoni per quello che vedo, quello che sento e quello che provo. Io sono fortunato perché vivo di musica, pago il mutuo con la musica e se quello che faccio non porta risultati, non fa niente, non devo continuare a fare un lavoro che mi fa schifo perché ho fallito nel realizzare il mio sogno. Il mio sogno lo vivo tutti i giorni, solo che a volte sembra un incubo.

Chi ascolta il tuo nuovo singolo sente un’identità precisa, ma anche una continuità con il passato. In che modo “Niente di Speciale” rappresenta un nuovo inizio, e non solo un’altra tappa?

Mi sveglio ogni giorno, passano settimane, mesi, anni, è sempre un nuovo inizio ma quando mi guardo allo specchio, vedo sempre la mia faccia, e in qualche modo, la trovo una cosa molto coerente.