
Intervista a Matteo Liberati
Benvenuto su System failure. Ci puoi raccontare del tuo percorso artistico fino a qui?
La mia passione per la musica inizia a 16 anni, inizio a suonare la chitarra e a prendere confidenza con software di produzione musicale. Mi iscrivo al CPM di Milano e suono con tantissime band fino ad arrivare a quella voglia incontrollabile di scrivere inediti e alla passione per il canto. Nel 2016 creo gli Height&Light e compongo con loro tutto l’album hard rock “Loser”. Nel 2018 ho voglia di dimostrare quello che so fare a tutti e a me stesso e decido di mettermi in gioco da solo e in italiano, creando qualcosa di diverso dal solito. Compongo, arrangio e registro “Luci gialle di città” e quando lo propongo alle etichette ottengo un contratto con la Exabyte records che pubblica l’ep. Qualche mese dopo la pubblicazione esce anche il mio video ufficiale di uno dei brani dell’ep,“I tetti di Parigi” con un ottimo riscontro da parte del pubblico.
Come nasce la tua passione per la musica?
A circa 16 anni amavo il rap underground italiano, ascoltavo un sacco di cose di nicchia e sentivo l’esigenza di confrontarmi con quei suoni, per questo ho iniziato a giocare su tutti i programmi di musica fino a imparare a usarli davvero, nel frattempo un amico di mio fratello suonava la chitarra in una band rock e quando andavo a sentire la band mi sentivo come immerso in qualcosa di cui volevo far parte, perciò ho chiesto di insegnarmi qualche giro e da lì è scattato qualcosa di incontrollabile, ho comprato mille libri, lezioni private, ore e ore di studio, la passione per mille generi e per tutto ciò che gira attorno alla musica.
Come nascono le tue canzoni? Parla del processo creativo alla base….
Le mie canzoni nascono da un idea, un ispirazione che spesso mi dà già un input della linea vocale e della linea melodica di base, registro il tutto come bozza e inizio un processo di pre-produzione. Affino l’idea del brano nell’insieme, aggiungo i vari strumenti uno a uno, ri-arrangio il tutto tornando a modificare alcune parti, registro nuovamente la voce in via più definitiva e sistemo di nuovo tutto l’insieme del brano. Finita la pre-produzione la porto in uno studio di registrazione e ri-registro in via professionale il tutto. È un lavoro davvero lungo ma il risultato poi è qualcosa di veramente ricercato, perfezionato e portato al massimo.
Come preferisci definire il tuo ultimo lavoro ossia “Luci gialle di città”?
È un EP che rappresenta un nuovo inizio per me, qualcosa di innovativo, di fresco, di vero e di nuovo. Rappresenta la voglia di sperimentare e di raccontare, di urlare e parlare, di uscire dagli schemi e da rimetterli in un ordine tutto mio. “Luci gialle di città” è quella musica con cui devi sentirti in intimità ma allo stesso tempo è quella con cui vuoi urlare in faccia al mondo “questo sono io”.
Ci puoi parlare della cover del disco?
La cover è un bellissimo quadro di un pittore di nome Masak. Mi è stato proposto dalla etichetta che ha distribuito l’Ep, il quadro mi è piaciuto, cercavo qualcosa di astratto che mi trasmettesse qualcosa e lui era perfetto. Masak ci ha dato la possibilità di utilizzarlo, ho chiesto qualche modifica a qualche colore per adattarlo alla copertina e eccolo qui!
L’album, oltre al talento, cosa rivela di te? Di cosa parlano i testi?
Parla di chi sono, di cosa voglio e di come lo voglio. “Chi credi di essere” è la sfida del nuovo progetto, delle dita puntate contro, della pressione e delle persone che a volte cercano di buttarti a terra prima di iniziare a correre. “I tetti di Parigi” parla di una mia bellissima esperienza in questa stupenda città che mi ha lasciato qualcosa dentro di incredibile e di indefinibile. “L’uomo che guarda le stelle” è dedicata ai sognatori, e la canzone lo dice, proprio a quelli come me che credono nell’impossibile e vogliono puntare proprio a quello. “Un po’ più in là” parla della mia voglia di arrivare lontano e di come a volte mi sento diverso dagli altri musicisti e da troppe persone, da troppe idee e da troppi pensieri comuni.
Come sei riuscito a fare tutto da solo? Raccontaci un po…
Sicuramente mi hanno aiutato tutti questi anni di esperienza, di studio e di curiosità musicale, l’utilizzo di vari software, la capacità di suonare la chitarra e di cantare. Nel tempo ho sviluppato la passione per tantissimi strumenti e mi sono impegnato a usarli nel modo migliore per metterli nelle mie produzioni. Alcuni synth sono suonati con un piano digitale passando in midi in virtual instrument ricercati, nella chitarra ho fatto un gran lavoro con gli effetti ma soprattutto con le dinamiche e così via. Credo che basti avere davvero curiosità per la musica poi il resto viene da sé.
Su quale traccia di “Luci gialle di città” mi dovrei soffermare e perché?
Credo che “chi credi di essere” meriti un ascolto particolare, non più intensivo delle altre ma semplicemente va ascoltata con un attenzione precisa, perché è proprio la frase che ti senti bruciare dentro quando inizi un progetto del genere e nel brano me lo dico, me lo faccio dire e lo dico io agli altri, proprio per dimostrare che alla fine la forza di affrontare le cose deve partire da noi a prescindere da quello che pensano gli altri, c’è sempre chi cercherà di farci lo sgambetto noi dobbiamo riuscire a non cadere, e se cadiamo dobbiamo imparare a rialzarci.
Musicalmente, cosa ascolti?
Ascolto musica alternativa come Destaat e AWOLNATION, gruppi come Paramore e Kasabian ma anche band più famose come i Muse di cui sono un grande fan. Diciamo che a grandi linee un po’ tutto il rock innovativo mi piace molto, apprezzo anche alcune cose più pop e mi diverto parecchio col punk/rock.
Che differenza “emotiva” c’è nel suonare per una band e nel suonare per se stesso?
Suonare per una band è bello perché ci si sente parte di un gruppo, anche di amici e ci si diverte con tante cose, anche le prove a volte sono un momento di ritrovo, ma non sempre è tutto bello come lo si vede da fuori. Suonare da solo è molto diverso, senti più responsabilità ma riesci anche a tirar fuori qualcosa di unico che funziona tutto nella tua testa e che a volte non puoi spiegare agli altri per farlo risuonare, hai bisogno di crearlo tu, di ascoltarlo tu e di crederci tu, alla fine è qualcosa di veramente incredibile.
Il ricordo più bello legato al tuo percorso professionale…
È difficile parlare di un ricordo solo, ho vinto due contest in passato che mi hanno davvero fatto felice, realizzare le tracce, scriverle, suonarle e suonare in certi palchi sono tutte emozioni grandi, se proprio dovessi scegliere ora come ora direi che forse il più bello è la realizzazione del video musicale, appena rivisto il lavoro montato è stata un emozione enorme.
Riesci a bilanciare la tua carriera musicale e la tua vita?
Non è facile combinare la vita quotidiana con la carriera musicale, i mille impegni che ci sono in entrambe le cose a volte fanno apparire il tempo troppo stretto per gestire ogni cosa, ma alla fine la passione vince sempre e rende conciliabile tutto.
Progetti imminenti?
Sicuramente nuovi brani, magari un altro ep o qualcosa di più, sperimentare, sperimentare, sperimentare senza fermarmi mai, voglio continuare a creare quello che mi passa per la testa in modo sempre più importante.
Per finire saluta i nostri lettori….
Vi ringrazio tantissimo per aver seguito l’intervista e vi invito a seguire le mie pagine facebook, instagram, twitter e youtube dove mi trovate sempre come Matteo Liberati! Continuate a sostenere la musica emergente, ricordatevi che voi siete il motore di questa macchina e dovete farvi sentire per farlo sentire. Ciao!