Intervista a Mathilde Montoro

Come vi siete conosciuti? Come si è formata la band?

Tutti e tre eravamo da tempo attivi in altre formazioni, ma avevamo anche avuto diverse occasioni di suonare insieme. Queste occasioni ci hanno dato l’opportunità di conoscerci sia come persone che come musicisti. L’alchimia è scattata subito ed il passo di impegnarci in un nuovo progetto comune è stato molto naturale.

Quali sono i vostri modelli musicali?

Una delle cose che ci unisce è che tutti e tre ascoltiamo la musica apprezzandone tutti gli aspetti e le sfumature. Pur prediligendo le chitarre distorte, le ritmiche serrate, i bassi e le batterie aggressivi, ascoltiamo volentieri e con attenzione qualunque genere musicale. Ci piace che un brano abbia un senso, una musicalità, la capacità di suscitare emozioni o reazioni. Non deve essere un puro esercizio di stile. Cerchiamo quindi, nella nostra musica, di costruire linee di cantato melodiche, ma supportate da ritmiche con sonorità che non siano troppo prodotte, troppo “edulcorate”.

“Quello che io ho”. Di cosa parla questa canzone?

“Quello che io ho” può sembrare una canzone d’amore, in realtà il messaggio che vorremmo mandare con questo brano è più ampio. La società attuale impone i propri ritmi, le proprie regole e mette costantemente tutti sotto forte pressione. Per riuscire a destreggiarsi in questa situazione a volte sembra molto più facile adeguarsi, omologarsi e questo porta inevitabilmente alla perdita di un po’ della nostra identità. È più facile farsi trasportare dal vento che contrastarlo. Così facendo però si finisce con il perdersi un po’, a perdere un po’ della nostra identità e molte delle piccole cose particolari che ci rendono magari imperfetti, ma unici. “Quello che io ho” parla di due persone che, anche in mezzo a una folla, in mezzo al rumore, riescono comunque a trovarsi, a riconoscersi. Come i protagonisti del brano, tutti dovremmo essere in grado di riconoscere in mezzo a una folla noi stessi, le cose e le persone che per noi sono importanti.

Stefano Vanoni. Come è stato collaborare con lui?

Stefano Vanoni è un grande professionista, con una spiccata sensibilità musicale. Ci conosciamo da tempo e avevamo già avuto modo di lavorare con lui ed è stata la prima persona a cui abbiamo pensato per chiudere il lavoro. Il risultato ci soddisfa molto.

Quanto è importante sperimentare con la musica?

Sperimentare nella musica è fondamentale. Oggi molto spesso ci si adatta andando a riprodurre quello che funziona, cosa a nostro avviso sbagliata perché rende tutto piatto e omologato. Nel nostro piccolo cerchiamo di curare molto l’aspetto del sound cercando di renderlo il più possibile personale senza curarci troppo delle mode del momento.

Quali sono i vostri progetti per il futuro?

L’uscita del nostro primo ep è prevista per la fine dell’estate e non vediamo l’ora di farvelo ascoltare.