
Intervista a Manù Squillante
Come è nata in te la passione per la musica?
La musica è sempre stata presente, da piccolo ero affascinato da tutto ciò che suonava: una pentola, una voce, una sigla dei cartoni animati. A sette anni ho iniziato a studiare pianoforte e batteria, e da allora ho solo continuato a cercare suoni che potessero raccontare quello che non riuscivo a dire. La musica per me non è mai stata solo un sogno: è una necessità, una lingua madre.
“Manù è una di quelle voci che scaldano, che raccontano, che restano”. Puoi commentare queste parole del comunicato stampa?
Sono parole che mi commuovono. Se davvero la mia voce riesce a scaldare, raccontare e restare… allora sto facendo bene il mio mestiere umano prima che artistico. Io cerco proprio questo: restare nel cuore delle persone non per vanità, ma per prossimità. Perché chi ascolta possa sentirsi meno solo. La voce è sempre stata il mio centro. È il vettore più diretto dell’esperienza, il ponte più sincero tra l’inconscio e il mondo esterno. Ho dedicato anni allo studio della voce, perché credo sia lo strumento più umano che abbiamo: non mente, non si nasconde. Ogni inflessione, ogni respiro porta con sé qualcosa di noi che nemmeno sappiamo di sapere.
I grandi cantautori italiani: Pino Daniele, Fabrizio De André, Lucio Dalla… cosa rappresentano per te?
Sono radici e visione. Hanno reso la canzone una forma d’arte alta, ma vicina alla gente. Pino Daniele mi ha insegnato l’emozione pura, De André il coraggio della parola, Dalla la libertà creativa. Sono fari, ma anche compagni di viaggio invisibili.
Hai calcato i palchi dei più importanti festival, condividendo la scena con artisti come Ron, Neri Marcorè, Samuele Bersani, Peppino Di Capri, Sal Da Vinci etc. Che emozioni hai provato?
È sempre un onore condividere il palco con artisti che hanno fatto la storia della musica italiana. Più che emozione, è un senso di responsabilità. Ti rendi conto che ogni nota ha un’eredità e ogni silenzio ha un peso. Ma poi arriva la gioia pura: quella che nasce dallo scambio, dagli sguardi dietro le quinte, dalle note che diventano memoria.
“Vizi e virtù” è il nuovo singolo di Manù Squillante. Di cosa parla questa canzone?
“Vizi e Virtù” nasce da una ferita profonda: in Afghanistan è stato vietato alle donne di parlare, cantare, scrivere poesie in pubblico. Ho sentito il bisogno di reagire con un canto collettivo, che fosse allo stesso tempo denuncia e carezza. È una preghiera laica, un inno alla libertà d’espressione, alla voce come diritto.
Cosa non deve assolutamente mancare in tuo live?
La verità. Che sia una sala piena o un teatro raccolto, in ogni mio live cerco l’incontro vero. Non voglio solo “suonare bene”, voglio raccontare qualcosa, muovere un’emozione. E poi: l’ascolto. Quello del pubblico, ma anche il mio verso chi ho davanti.
Mi puoi parlare del videoclip di “Vizi e Virtù”?
Il videoclip è un lyric video animato, diretto e illustrato da Marharita Tsikhanovich. È un’opera visiva essenziale ma intensa, che attraverso una sequenza di disegni fatti a mano dà vita a una galleria di volti femminili: donne inventate, ma reali nel loro silenzio imposto e nella loro resistenza invisibile. Le illustrazioni scorrono con delicatezza: sguardi velati, gesti trattenuti, figure che emergono e si dissolvono, come anime imprigionate in un limbo di censura. Il tratto, semplice e diretto, amplifica il senso profondo della canzone. Il testo scorre sotto le immagini senza sovrapporsi, accompagnando lo spettatore con sobrietà. Ogni parola è lasciata nella sua forza espressiva, come un frammento di verità che non può andare perduto. Con un’estetica minimale, il video diventa un’estensione del messaggio del brano: quando la voce viene soffocata, resta il segno; quando la parola viene negata, rimane il suo eco.
Cosa bolle in pentola per Manù Squillante?
Nel 2025 usciranno tanti nuovi brani che fanno parte del mio nuovo lavoro “Tra la mano, l’occhio e il cuore”. È un progetto che unisce musica, parola e visione, e che racconta la fragilità e la forza del sentire. Sto lavorando anche a un libro di poesie, che si intitolerà “Nel cuore delle cose non dette”. È un tempo di grande fermento, di ascolto, di creazione. E spero che tutto ciò possa arrivare, restare, accendere.