
Intervista a Luca Di Stefano
Come ti sei avvicinato al mondo della musica?
In realtà nel modo più naturale possibile. A 6 anni ho espresso a mia mamma la volontà di voler prendere delle lezioni di danza classica. Solo dopo due anni per, per colpa delle pressioni subite dai compagnetti di classe, l’ho lasciata. Ovviamente la musica non è andata via: ho studiato per un pò piano, poi lasciato, chitarra, lasciata, in banda, lasciata e poi il sassofono per ben 4 anni. Dopo di che, sotto consiglio del mio insegnante di sax, ho iniziato a studiare canto. ed oggi continuo a studiarlo al conservatorio.
Quali sono i tuoi miti musicali?
Diciamo che ne ho molti: passo da Ray Charles a bruno mars, da Stevie Wonder a Teddy Swims. Ma se ovviamente ne devo dire uno su tutti, dico Bruno Mars.
Come nasce e prende forma una tua canzone?
Non ho un metodo di scrittura ben definito: molto spesso parto dalla base armonica, quindi un girono di accordi al piano o alla chitarra, poi subito dopo canto una melodia improvvisata e se qualche passaggio melodico mi piace lo registro per non scordarmelo; poi metto delle parole casuali, inglese maccheronico e come il buon vino lascio decantare l’idea per qualche giorno, settimana o addirittura mesi. Poi il brano ritorna da se quando ho bisogno di dover dire qualcosa, di dovermi sfogare o dare un messaggio a qualcuno.
Leggo di una partecipazione alla prima edizione italiana di All Together Now. Cosa ti ha lasciato quella esperienza?
Mi ha lasciato tanto soprattutto da un punto di vista di autostima e consapevole artistica. Ha dato modo di poter far credere a me, quanto ai miei genitori, che questa fosse la strada giusta. Per non parlare delle varie collaborazioni con brand di moda internazionali, con Ax e Annalisa e la chiamata da parte di AGT.
Come è stato collaborare con J-Ax per il brano “Supercalifragili”?
Molto bella e imbarazzante allo stesso tempo. Immaginatevi di avere 18 anni e per la prima volta entri in studio di registrazione, ma di quelli importanti, con uno dei cantanti più influenti del panorama italiano di quegli anni. Mutismo selettivo. Non riuscivo a dire una parola. Da un punto di vista artistico anche questo mi ha lasciato molto: come stare in studio, vedere all’opera professionisti del settore dai fonici ai produttori fino ad ax che era raffreddato ma che nonostante ciò ha registrato da paura.
E invece cosa ci puoi dire della tua partecipazione ad America’s Got Talent? Che emozioni hai provato?
Esperienza che confermava ancora di più il mio pensiero sulla strada che mi era stata indicata. Mi ha lasciato tanto, dalla gioia all’amarezza di non poter più partecipare (colpa del Covid-19) nonostante i 4 si ricevuti. Sono tornato con un esperienza gigantesca che mi ha spronato sotto ogni punta di vista, specialmente lo studio.
“Broke in two” è il nuovo singolo di Luca Di Stefano. Di cosa parla questa tua canzone?
“Broke in Two” racconta la confusione che provavo dopo la fine di una relazione durata anni. Mi sentivo diviso tra chi sono oggi, consapevole che quel rapporto era ormai logoro, e chi ero un tempo, quando credevo che senza di lei non avrei potuto vivere. Mi portavo addosso una malinconia profonda: sapevo che la relazione non era finita per il meglio, ma nonostante tutto mi sentivo ancora attaccato a lei e a tutte le nostre dinamiche. Mi sentivo spezzato a metà, diviso tra rabbia e amore, tra il bisogno di andare avanti e la tristezza di aver perso, oltre tanti amici, anche quella persona che per anni credevo fosse la mia certezza. Vivevo un conflitto costante tra lucidità e nostalgia, tra la voglia di liberarmi da un legame che mi aveva soffocato e il desiderio di ritrovare almeno un frammento di ciò che eravamo. Questo brano è nato proprio da quella frattura interiore: da una parte c’era la consapevolezza di aver rinunciato a me stesso per troppo tempo, dall’altra la difficoltà di accettare che tutto fosse finito. Scriverlo è stato un modo per mettere ordine nel disordine che avevo dentro, per dare voce a un dolore silenzioso ma persistente. “Broke in Two” è il suono di quel rumore che continua, anche quando sembra che tutto sia fermo.
Il videoclip di “Broke in Two”. Lo puoi presentare ai nostri lettori?
Il videoclip di Broke in Two non è ambientato in un luogo fisico, ma in uno spazio mentale: un limbo bianco che rappresenta la mente mia mente, svuotata, apatica e sofferente. È in questo scenario sospeso che prende forma il racconto visivo del brano. Il video ruota attorno al concetto di dualità, in uno spazio neutro dove tutto può accadere e dove emozioni contrastanti si scontrano e cercano di convivere. L’illuminazione, attraverso giochi di ombre e silhouette, evidenzia la frattura interiore vissuta dal me stesso. I colori freddi, simbolo di solitudine e distacco, si alternano a tonalità calde che richiamano ricordi, passione e un amore ormai consumato. Ogni scena rappresenta simbolicamente un’emozione e il suo opposto, dando forma visiva al caos interiore che ho vissuto. Nella scena finale, la luce calda e quella fredda si incontrano, fondendosi in un equilibrio fragile ma possibile: un simbolo di riconciliazione tra le due metà di sé.Il videoclip, proprio come la canzone, è un viaggio intimo attraverso il dolore e la consapevolezza. Un modo per mettere ordine nel disordine e dare un volto alla “rottura in due” vissuta nel profondo. Perché anche nel silenzio, certe emozioni continuano a fare rumore.