Intervista a KARLHEINZ

Benvenuto. Puoi presentarti ai nostri lettori? Puoi anche parlarci del tuo percorso artistico fino a qui?

Da sempre sono stato appassionato di musica ed ho avuto la fortuna di poterla studiare dal piccolino, pianoforte e poi chitarra. Poi nei vari percorsi di vita, ho fatto tanta esperienza nella riproduzione musicale di alta fedeltà. Quindi, incisioni super raffinate e sistemi di riproduzione ad altissima efficienza. Un mondo andato in voga negli anni 70/80 e poi perso con le compressioni MP3, che però con enorme piacere sta tornando alla ribalta, sempre più sento parlare di vinili, diffusori acustici di qualità o semplicemente vedo sempre di più cuffie di buona fattura, si vuole tornare a sentire bene. Ultimamente sono passato alla produzione, niente di più bello… La propria musica. Poi, avere la fortuna di poterla suonare davanti a tante persone. FANTASTICO.

Perché hai scelto la techno minimal?

Me lo sono chiesto spesso anche io, forse ha scelto lui me. Vivo esattamente a 128 Bpm; anche se ultimamente mi trovo a mio agio anche dai 122… Sto trovando forse questa mia nuova dimensione… Boh. Anche se sono sempre in “lotta” nel capire se domina la razionalità delle scelte stilistiche o, se come amo, mi lascio trasportare dai suoni.

La tua musica ha diverse influenze: house, minimal, progressive. “Techno fusion” come tu l’hai definita. Puoi commentare queste mie parole?

La musica è una onda portante per trasmettere emozioni. Generi e stili, sono solo nostri paradigmi per organizzarla e catalogarla. Non attingo solo da lì, uso spesso scale blues, giri jazz, ritmicità afro, asiatiche, percussioni orientali… Tutto quello che mi piace e ripeto mi emoziona, ho fatto un edit dell’”Inverno” di Vivaldi, maestro assoluto del barocco musicale. Mi piace molto la contaminazione delle mie tracce, mi piace riuscire a portare chi mi ascolta e mi balla nel mondo che penso mentre sono a studio e lavoro sulle mie tracce. “Techno fusion”, questa definizione, nasce un po’ per sbaglio; ma che sempre di più mi sta calzando. Spesso mi chiedono cosa suono o cercano di etichettarmi in generi o categorie musicali. Non ne sono convinto che sia giusto, io ascolto ed osservo quello che trascina le persone in pista e da lì creo “il viaggio”.

Quale strumentazione usi per la tua musica?

Che bella domanda. Ho lo studio pieno pieno di “giocattoli”. Tastiere, synth, compressori, monitor, mixer, microfoni, tanto software… Spesso osservo ragazzi che con poco fanno bei lavori; ma poi si sente che non sono professionali. Certi risultati li puoi realizzare solo con le apparecchiature giuste, non scappi. Ho avuto la fortuna di imparare tanto, anzi tutto quello che so (e mi manca ancora tanto da scoprire) dal mio maestro Haldo a lui devo proprio tanto. Uno degli ultimi veri DJ Producer, cultura musicale, esperienza e cognizione di causa. Un maestro.

Come nasce una tua canzone? Parlaci del processo creativo alla base…

Ogni volta mi impongo di seguire un filone produttivo: mi creo un giro armonico, una melodia, costruzione del beat, giro di basso, pad, arpeggiatori, FX… Ma, poi non va mai così. Mi lascio molto trasportare dal suono. Spesso mi piace un suono.

Ho letto queste tue parole giunte in redazione: “DJ e produttore in costante evoluzione, è sempre pronto a sperimentare percorsi non comuni inventando altresì linguaggi innovativi”. Per te quanto è importante la sperimentazione?

Ogni mia traccia nasce da una sperimentazione. Non riesco mai ad arrivare alla meta che prefiguro in testa. Il suono ne fa da padrone, li scelgo e poi si scelgono a vicenda. E’ proprio un processo armonico. Ci sono tante tracce fatte che sono lì perché manca “l’accordatura” che lega il tutto. Aleatorio; ma allo stesso tempo, bene definito sul risultato, deve estasiare l’ascoltatore. Portarlo in un viaggio esperienziale nuovo.

A chi ti ispiri principalmente?

È come avere pietra grezza tra le mani. Non sai mai cosa ne uscirà; anche se al suo interno già è custodito il risultato finale. Attingo da molti, soprattutto da fuori genere. Veramente molti sono i miei riferimenti. Ma, ripeto, su tutti cerco di calarmi nei panni di chi ascolta e di quello che vorrebbe gli suscitasse la mia musica.

Karlheinz Stockhausen: il tuo nome lo omaggia…Perché lui?

Ho iniziato ad avvicinarmi alla musica elettronica, anche bistrattandola, all’inizio. Pensando che “tanto era tutta uguale, con una cassa dritta in 4/4” ed il pezzo era fatto. Però, quando mi appassiono forte ad una cosa, cerco di studiarmela il più possibile, sviscerandola nel profondo. Chiaramente mi sono imbattuto in questo grande artista, assoluto innovatore, che mi ha lasciato a bocca aperta. Mi è venuto d’istinto senza grandi ragionamenti. Poi, al suo interno contiene “Carlo”, il nome di un uomo giusto, che non ho mai conosciuto; ma cui sono molto legato.

Conta più il talento o lo studio? Come si devono intrecciare in un artista?

I fuoriclasse esistono, per fortuna. Ma ho la certezza di non esserlo mai stato in nulla. Altrettanto non sono mai stato uno studioso. Come al solito, i mondi devono coesistere in un sano equilibrio. Come le scacchiere hanno il bianco ed il nero.

In una società come la nostra con crisi economica, climatica e sanitaria quale è il ruolo della musica?

Spesso i film si ricordano per le colonne sonore, piuttosto che attori, registi o trame. Ci sono momenti della nostra vita, amori, dolori che vengono legati a delle canzoni. Niente come un suono riesce a rievocarli, credo sia un meccanismo quasi primitivo del nostro inconscio. Parte quella nota, quel motivetto, quell’accordo e subito ci riporta lì. Quindi lo definisco un ruolo essenziale. Sono le colonne sonore del nostro film, la nostra vita.

Quali arti preferisci oltre la musica?

La parola “arte” è complessa. Ogni manifestazione di capacità, amore, contenuto, pensiero, emozione, per me è arte… Non si può preferire o paragonare, un piatto, un quadro, una danza, un libro, paragone impossibile. Amo tutto ciò che mi emoziona e mi fa riflettere. Penso sempre a questa frase del mio pittore preferito “Quando non ho più blu, metto del rosso”. (Picasso)

Se una città contemporanea somigliasse alla tua musica quale sarebbe? E se fosse un film o un libro?

Roma, la città dove sono nato e vivo. Una città antica, suggestiva, emozionante; ma anche molto contraddittoria e non “capibile” ma che affascina. Un film o un libro, non so. Ci devo riflettere; ma risponderò alla prossima chiacchierata che ci faremo, promesso.

Progetti futuri?

Spesso, mi chiedono quale sia la mia traccia più bella… Rispondo sempre “La prossima”. Quindi intanto mi auguro e mi impegno che il prossimo lavoro sia sempre migliore di quello precedente. Non parlo in termini di classifiche; ma proprio di appagamento personale rispetto al risultato fatto. Di idee ce ne sono molte, sia realizzative che di collaborazioni. Si è sempre in continua evoluzione.

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