Intervista a Gran Zebrù

Benvenuti su system failure. Ci potete parlare del vostro percorso artistico fino ad adesso?

Grazie a voi per l’ospitalità. I Gran Zebrù si conoscono da parecchio tempo, hanno seguito percorsi artistici e discografici differenti per poi ritrovarsi in questo progetto che potremmo definire più maturo (un termine elegante per dire che non siamo più dei ragazzini, il che, in fondo, non ci dispiace perché abbiamo imparato molto durante gli anni di militanza nelle diverse formazioni).

Come avete elaborato il vostro sound?

Il nostro sound potrebbe essere un miscuglio delle nostre esperienze precedenti (veniamo dal rock alternativo, dal pop, dal post-rock) e di tutti i nostri ascolti (che sono parecchi e piuttosto maniacali). In realtà funziona tutto in maniera molto meno schematica, certi suoni sono ormai parte di noi e non capita mai che si decida a priori come debba suonare un pezzo: semplicemente prende forma in sala prove e, se ci soddisfa, lo sviluppiamo.

Come nasce una vostra canzone?

Come dicevamo, il nostro perimetro di caccia è la sala prove. Passiamo ore a improvvisare e registriamo spesso, in modo da catturare i passaggi più convincenti che possono diventare una canzone oppure restare strumentali. Non si tratta di un modus operandi che abbiamo pianificato ma semplicemente del nostro sistema per tirare fuori il meglio, raffinando le intuizioni nascoste nel magma delle nostre session.

La fonte di ispirazione per i testi?

Anche per i testi il procedimento è simile, le melodie nascono da vocalizzi che rimangono a lungo senza un contenuto preciso e vengono poi sviluppati fino a comprendere delle liriche. Non c’è un’idea di partenza sull’argomento del brano ma questo prende forma durante le prove e le revisioni su carta. Questo progetto è nato proprio con l’idea di superare tutta una serie di schemi compositivi e di dinamiche “da band” nelle quali non ci ritrovavamo più.

Abbiamo ascoltato “EP1”. Dove è stato registrato? Che tecnica o modalità di registrazione è stata usata? Qualche difficoltà? Aneddoto da raccontare?

L’EP è stato registrato a Milano, negli studi di CasaMedusa, con la preziosa collaborazione di Francesco Campanozzi che si è inserto splendidamente nel nostro flusso creativo aggiungendo alcune sue idee e parti strumentali. I pezzi sono stati registrati in digitale ma masterizzati in analogico da Christian Alati dei “Gatto Ciliegia contro il Grande Freddo”. Data la natura mutevole dei nostri pezzi, la difficoltà è stata sicuramente quella di fotografarli e di affidarli a un’incisione definitiva.

Cosa raffigura l’artwork e chi l’ha creato?

La foto di copertina raffigura una via di Milano fotografata in pieno agosto, quando la città si svuota. Ci piaceva il senso di straniamento evocato da questa immagine e lo abbiamo sottolineato utilizzando un filtro digitale che distorce gli edifici sullo sfondo. Ci è sembrata una buona rappresentazione della nostra attitudine che alterna atmosfere rarefatte e saturazioni.

C’è una canzone che preferite del vostro ep? Perché?

Il brano più rappresentativo del nostro modo di lavorare è probabilmente “Piccolo Lord”. Il pezzo è stato composto interamente in sala prove, durante una lunga session. Nella registrazione pensiamo di essere riusciti a catturare quello spirito circolare che è la direzione che stiamo seguendo anche nei nuovi brani.

Che strumentazione usate per l’elettronica?

Non siamo degli integralisti dell’analogico, quello che conta per noi è il suono nel contesto dei brani. A volte può starci un synth modulare ma anche un plugin del 2005. Su “EP1” abbiamo utilizzato diverse sorgenti, cercando di mantenere l’aspetto elettronico sullo sfondo, come un ingrediente segreto.

Come è collaborare con I dischi del minollo?

Siamo molto contenti di essere nel roster di questa label che, negli anni, si è distinta per la coerenza delle sue uscite. Francesco Strino è una persona genuinamente appassionata e questo per noi è molto importante.

Gran Zebrù è un corto circuito fra alternative rock, post rock e canzone italiana” come leggo dal comunicato stampa. Potete commentare queste parole?

Si tratta di una buona sintesi della nostra attitudine. Ognuno di noi ha portato nel progetto la propria storia come autore o musicista. Non abbiamo deliberatamente deciso di innestare un genere sull’altro, la sintesi è avvenuta come risultato del contatto fra noi quattro, proprio come un corto circuito.

Siamo in emergenza coronavirus. Come la state vivendo. Come avete vissuto il lock-down? Come passavate le giornate?

È stata un’esperienza angosciante, come per tutti. Ovviamente siamo stati costretti a una lunga pausa forzata, una cosa da poco rispetto a chi è stato duramente colpito dal virus. È stato bello, terminato il lockdown, ritrovarsi in sala prove e dare di nuovo corrente agli amplificatori e alla nostra voglia di suonare insieme.

Siamo in un mondo in emergenza climatica, economica e sanitaria. Quale è il ruolo della musica in questo mondo?

Ad essere sinceri, pensiamo che di fronte all’ottusità della maggior parte dei governi rispetto al problema, la musica possa fare ben poco. Questo non toglie che gli artisti con maggiore visibilità possano essere un ottimo veicolo di sensibilizzazione, andando a colmare le imperdonabili lacune delle istituzioni.

Oltre la musica che arti preferite?

Ci sono altre arti, oltre alla musica? Scherziamo. Spesso discutiamo di cinema e, tra di noi, ci sono appassionati di fotografia e letteratura.

I vostri miti musicali chi sono? Nominate tre album che hanno segnato la vostra vita…

Domanda molto difficile, per noi. Siamo dei veri maniaci, la nostra chat è un continuo rimbalzo di dischi che ci consigliamo a vicenda. Dovendo proprio scegliere tre album che ci hanno influenzato profondamente: “Blissard”, dei Motorpsycho; “Spiderland”, degli Slint; “Tabula Rasa Elettrificata”, dei C.S.I.

Per concludere, salutate i nostri lettori e date qualche consiglio a chi sta muovendo i primi passi nel mondo della musica…

Salutiamo volentieri i vostri lettori e, agli aspiranti musicisti, consigliamo di crederci, sul serio. Sono tempi durissimi per la musica e la discografia, per questo pensiamo che l’unica cura sia dedicarsi a fare quello che più ci appassiona, lasciando da parte i trend e le mode. Abbiamo visto un sacco di ottime band esaurirsi dietro alla ricerca di “quel suono” che è arrivato sotto ai riflettori, questa spersonalizzazione poi la si paga cara, perché sia il pubblico che gli addetti ai lavori percepiscono che si tratta di una forzatura.