Intervista a Gianni Carboni

1) Benvenuto su System failure. Ci parli del tuo percorso artistico fino a qui?

Grazie a voi e complimenti per il bel mondo che avete creato. Il mio percorso nasce davvero per caso, sono tutto fuorché un predestinato. Non nasco con un strumento in mano, i miei genitori non hanno mai suonato né cantato. La mia curiosità nasce da ragazzino nel guardare i miei amichetti del tempo suonare. Studiavo i loro movimenti e li replicavo mentalmente a casa, non avevo neanche uno strumento. Poi tutto questo negli anni si è incontrato con la mia voglia di fare le cose che mi piacciono e di cercare di farle bene, nel miglior modo possibile, studiando e analizzando, anche troppo forse, con impegno maniacale quasi a diventare un’ossessione. In questo modo, una volta entrato nel mondo della musica, non ci sono mai uscito ed eccomi qua. Mai avrei pensato di scrivere canzoni mie, eppure sono al secondo album da solista e vado molto fiero di quello che ho fatto.

2) Ci parli del tuo background musicale? Nomina anche 3 album che hanno segnato la tua vita…

Il mio approccio musicale nasce in modo molto… rock. All’inizio ascoltavo solo rock. Rientravo da scuola, pranzavo e poi stavo tutto il giorno con lo stereo a palla ascoltando i Guns. Poi per fortuna la mia mente è riuscita negli anni ad aprirsi a tutto quello che è musicale, a prescindere dal genere che rappresenti. E’ stata una cosa quasi inconscia, una sorta di istinto primordiale di curiosità verso le novità. Non mi piacciono le etichette e le distinzioni in generi. La bella musica è sempre bella musica. L’avvento della tecnologia è stato fondamentale per me e per la mia crescita. Tre album? Sono pochi ma ci provo: “Achtung Baby” degli U2, “Mindfields” dei Toto e “Canzoni d’Amore” di Francesco De Gregori. Mancherebbero ancora tanti altri artisti, ma me ne hai chiesto tre e rispetto la regola.

3) Come è nata in te la passione per la musica?

E’ nata dalla percezione di provare sensazioni diverse rispetto ad altri miei amici coetanei o in famiglia mentre ascoltavo la musica. Percezioni ritmiche, armoniche, melodiche. Mi rendevo conto che mentre la ascoltavo o la guardavo suonata da altri, mi arrivavano mille informazioni che andavano al di là del mero ascolto. Per fortuna non ho lasciato andare via queste sensazioni ma anzi le ho accolte e ho provato a valorizzarle, con mille difficoltà. Ancora oggi per me è così.

4) Abbiamo recensito il tuo album “La base”. Come è nato? Parlaci della sua genesi…

‘La base” è il risultato più alto di tutto quello che ho prima descritto. Credo di aver raggiunto il massimo delle mie potenzialità, per lo meno di quelle che posso raggiungere lavorando completamente da solo e senza il supporto di altri soggetti che, lo riconosco, a volte mi servirebbero eccome, ma che per vari motivi non mi sono mai potuto permettere di avere. Nasce dalla volontà di provare a dire qualcosa di nuovo, anche come sonorità. Mi viene davvero difficile pensare che avrei potuto fare meglio di così. Magari ci potrò riuscire in futuro, ma al momento no, non era possibile fare meglio per me. Con questo non voglio dire che i miei precedenti lavori facevano schifo, ci mancherebbe. Ma sento la differenza del periodo e dell’obiettivo. Quando riascolto ‘In punta d’ardire’, ad esempio, mi rendo conto di aver fatto un buon lavoro ma di non aver osato quanto bastava, nonostante il titolo. Mi rendevo conto di essermi protetto dietro alle certezze del rock, delle sue dinamiche e delle sue caratteristiche anche compositive. Tutto questo portava inevitabilmente a somigliare a qualcuno in alcuni pezzi, ad altri in altri pezzi, ed è questa una delle peggiori sensazioni per un artista. Mi sono reso conto che sarei dovuto essere più originale e più riconoscibile, costi quel che costi. E così è stato… spero.

5) Su quale canzone di questo album mi dovrei soffermare e perché?

Forse ‘Diario di un soldato’ perché dentro c’è tutto. Un testo non immediato ma che dietro nasconde un significato per me devastante ispirato da un fatto realmente accaduto in famiglia (cose che saranno molto più chiare quando lancerò il video che sto girando in queste settimane). Un arrangiamento completo dove strumenti acustici ed elettronici si incontrano e si alternano. Variazioni ritmiche e sonore. Da un punto di vista di racconto dell’evoluzione e del cambiamento di stile che ho vissuto in questi anni, credo che possa essere il miglior brano testimonial.

6) Cosa raffigura la cover dell’album(in figura subito sopra)?

La profondità, a volte ignota, di ognuno di noi. Spesso tappata e oscurata, non vista, ma che invece ho cercato di liberare nell’album. La profondità che arriva fino alla base e cioè sempre a noi. Una sorta di viaggio dove partenza e arrivo coincidono: noi stessi. Tutto parte da lì.

7) La title-track “La base” è presente anche su Youtube con un video. Ci parli di questo video? Raccontaci tutto per bene…

E’ un video con il quale, con il supporto di una location da paura e di un’attrice fantastica, ho cercato di associare in immagini, come mai prima d’ora avevo fatto, il significato del testo. Trattandosi di un tema assai complesso ovviamente mi sono reso subito conto che l’ambizione era troppa, per lo meno troppa per realizzarla con solo un videoclip. Allora in 4 minuti ho provato a farlo con più leggerezza ma senza per questo togliere importanza e serietà al tema del cambiamento partendo dalla base delle cose, dai piccoli gesti quotidiani. La protagonista vaga per Parigi e, nel girovagare, compie gesti semplici di senso civico, così semplici che però ormai quasi nessuno compie più. E trasmette questo messaggio a tutti gli altri. La cosiddetta giustizia sociale, quella che fa la differenza.

8) Con quale artista o band indipendente vorresti collaborare?

Da tanti anni ho un chiodo fisso, consapevole della tanta difficoltà di poterlo realizzare: un duetto con Salmo. Ho provato a contattarlo ma non oso immaginare quanti come me l’abbiano fatto e quanto quindi difficile sia riuscire a farsi conoscere. Un mio conterraneo che sta piegando qualsiasi record senza esser mai passato da radio e/o TV e/o canali tradizionali ma anzi rifiutandoli categoricamente quando proposti. Un anti-sistema che ce l’ha fatta per davvero. Una cosa ineguagliabile e senza precedenti. Un vero gigante.

9) In un mondo dove si ergono nuovi muri e si parla di nuovo di nazionalismo e protezionismo, ebbene in questo mondo quale è il ruolo della musica secondo te?

Mi riaggancio a Salmo, lui sta interpretando alla perfezione questo ruolo, anche se a modo suo, forse esagerando. Ovviamente il rischio è quello di sembrare uno schierato politicamente, cosa assolutamente sbagliata. Combattere questa pericolosa deriva non è né di destra né di sinistra, è semplicemente una cosa di buon senso. Però dipende dal metodo. Purtroppo a volte alcuni personaggi, più li combatti in modo esplicito e più li rafforzi. E’ un paradosso, lo so, ma i dati dimostrano questo. Invece bisognerebbe ignorarli totalmente, anche se capisco quanto sia difficile, io stesso cedo spesso e volentieri. Però se li ignoriamo e nel frattempo cerchiamo di trasmettere il messaggio opposto tramite quello che diciamo e facciamo, ossia che è studiando (tanto, non poco) e istruendoci che potremo meritare un futuro migliore e non chiudendoci in noi stessi, potremmo davvero concretamente sconfiggere il nemico che è sempre stato e rimane l’ignoranza. Non smetterò mai di battermi su questo, solo applicando la logica ed elevando il nostro pensiero potremo farcela, diversamente ci meriteremo quello che abbiamo. Come vedi, torniamo a ‘La base’…

10) Nella recensione abbiamo dato una risposta a questa domanda “Il rock è morto (?)”. Puoi darci la tua risposta in merito?

Metafora della società in cui viviamo, soprattutto in Italia. Fazioni, etichette, buoni e cattivi, destra e sinistra, guelfi e ghibellini, oppure tutte quelle brutte parole che finiscono con –ismo. E così avviene fra rockettari e non rockettari. Ho sentito musicisti, e li sento tuttora, denigrare altri musicisti solo perché fanno un genere diverso ritenuto non si sa per quale motivo inferiore. Non esistono generi musicali superiori o inferiori, esiste solo la musica. Che cambia, si evolve, amplia le sue vedute, sfrutta le potenzialità della tecnologia, rendendo tutto più magico. Chiudersi in se stessi e nella propria realtà è un errore pazzesco, un boomerang incredibile. Ovviamente tutto questo vale per i rockettari che litigano o criticano gli “elettronici” così come viceversa, il discorso non cambia di una virgola. Nel brano ho cercato di rappresentare questo “dualismo” insensato, questo scornarsi a vicenda per poi finire dicendo che la verità non si schiera mai e sta sempre in mezzo alle due estremizzazioni della realtà. Il rock non è morto ma non possiamo ancora suonarlo e viverlo come negli anni ’60, altrimenti vivremmo in un passato troppo diverso e lontano da oggi. Così come non possiamo solo smanettare su una consolle ignorando la musica che ha permesso che quella consolle esistesse o ignorando il dover saper suonare. Gli estremi sono sempre sbagliati. Il rock vive anche nell’elettronica, e l’elettronica è una delle cose più rock che abbia mai sentito ultimamente, al pari di una chitarra elettrica. E una cosa non esclude l’altra. E anche nel brano, come nella realtà, alla fine, fra i due litiganti il terzo gode.

11) Per finire, saluta i lettori di System failure….

Grazie per aver letto quest’intervista, grazie per resistere, grazie per non rassegnarvi al degrado, grazie per tenere in vita realtà libere dove al centro c’è solo la musica. Riamiamo uniti e alla fine avremo ragione noi. Ciao…