Intervista a Giangaspero

Come ti sei avvicinato al mondo della musica?

Ho iniziato a suonare il pianoforte da bambino, incoraggiato dai miei genitori, che hanno notato la mia predisposizione alla musica. Poi a 12 anni ho iniziato a studiare chitarra, più avanti ne ho fatto il mio mestiere e la mia grande passione.

Chitarrista attivo sulla scena live e discografica fin dai primi anni ’90. Cosa non deve assolutamente mancare per te in un live?

In un live la cosa più gratificante e significativa è l’attenzione del pubblico e la sua risposta a quello che trasmettono I musicisti. Quando le emozioni che si esprimono suonando vengono raccolte e restituite da chi ascolta, significa che si è raggiunto l’obiettivo per cui ci si è preparati.

Oltre la musica quali arti ti appassionano?

Mi piace molto l’arte figurativa in generale, mi interessa quella contemporanea. A questo proposito ho in essere un progetto assieme all’artista Francesca Danese, specializzata in acquarello. Si tratta di un lavoro sinestesico, in cui vogliamo esprimere, ognuno con la disciplina di cui si occupa, le medesime sensazioni, in modo che ad ogni quadro si abbini una musica e ad ogni brano musicale si abbini un quadro. Il progetto si chiama “LiquidGuitar”.

Giangaspero unisce radici e innovazione in un percorso artistico personale e riconoscibile. Puoi commentare queste parole del comunicato stampa?

Questo lavoro è ispirato alla canzone d’autore classica, per intenderci quella in cui la parte letteraria è altrettanto rilevante, se non di più, rispetto a quella musicale. D’altro canto oggi le istanze politiche e sociali che caratterizzano le composizioni dei cantautori dei decenni passati, secondo me vanno espresse in altri contesti, probabilmente più importanti e ufficiali rispetto a una semplice canzone. Così ho deciso di raccontare storie, o favole di vita realmente vissuta o che sarebbe possibile vivere, un po’ come le “buone cose di pessimo gusto” di Gozzano. E nel farlo ho scelto di trasmettere anche il mio background musicale e chitarristico, che si riscontra soprattutto in due pezzi , “La gente di Bahia” e “Itinerari”, realizzati in modalità filologicamente brasiliana: il primo è un baião e il secondo uno choro.

Un live di cui conservi un ricordo indimenticabile?

Di live indimenticabili ce ne sono parecchi. Sono quelli in cui il pubblico ti dà una carica in più, forse proprio perché la tua musica a sua volta lo ha caricato. Quando sul palco c’è chimica all’interno del gruppo è probabile che venga trasmessa anche fuori. Ricordo a questo proposito diverse serate con i Drom Pale Luma, con cui facevamo musica della tradizione gitana dell’europa orientale. L’ultimo concerto memorabile che ricordo è stato all’interno della rassegna “Trieste loves jazz” In cui ho suonato quasi esclusivamente mie composizioni strumentali.

“La gente di Bahia” è il nuovo singolo di Sergio Giangaspero. Lo puoi presentare ai nostri lettori?

Bahia qui è un po’ il simbolo della commistione e della mescolanza di esseri umani e di culture. Il pezzo è un’esortazione ad accettare e rispettare chi è diverso da noi, un auspicio che la diversità ispiri non inquietudine e riluttanza ma curiosità.

Quanto è importante trasmettere sensazioni ed emozioni ai propri ascoltatori?

In un mondo musicale mordi e fuggi, in cui si è ormai abituati a disporre di migliaia di files audio in qualunque device, in cui la qualità dell’ascolto è relegata all’uscita audio degli smartphone o poco più, credo che riuscire a far arrivare un’emozione a chi ascolta sarebbe il più grande successo che si possa auspicare.