Intervista a Filippo Zucchetti
In occasione del lancio del suo ultimo singolo “Cielo Elettrico”, abbiamo incontrato il cantautore Filippo Zucchetti, ecco cosa ci ha raccontato.
C’è stato qualche episodio particolare che ti ha fatto sentire il bisogno di scrivere le tue canzoni? Qual è stato il tuo percorso formativo e che cosa ti ha influenzato di più?
Io ho bisogno di esprimermi e lo faccio attraverso diversi mezzi tra cui la poesia, le opere d’arte e le canzoni. Queste ultime, in particolare, mi permettono di fondere due ambiti che amo molto: la musica e la scrittura. Quindi, diciamo che forse è il mio mezzo preferito. C’è stato un episodio in particolare in cui è scattato qualcosa in me, e mi riferisco a quando avevo circa 12 anni. A casa di una mia compagna di scuola ascoltai per la prima volta tre canzoni in successione che furono come una detonazione di benessere, energia e beatitudine. Le canzoni in questione erano (in questa precisa successione): “Emozioni”, “Pensieri e parole” e “Fiori rosa fiori di pesco” di Battisti e Mogol. Da lì iniziò il mio percorso. Da autodidatta cominciai a suonare la chitarra con l’unico scopo di scrivere canzoni. Non mi interessava diventare un chitarrista; volevo solo imparare gli accordi base il prima possibile per cominciare a improvvisare melodie sulle quali adattare i testi. Pur non avendo nessuna nozione né di musica né dei metodi di scrittura di una canzone, riuscivo da subito, in maniera estremamente naturale, a scrivere un brano con una melodia orecchiabile e un testo metricamente corretto. Il mio percorso formativo da allora non è mai finito e mai finirà. Non esiste sentirsi arrivati: il mio bicchiere è sempre vuoto! Ho bisogno continuamente di imparare cose nuove, conoscere e avere nuovi stimoli.
Il tuo nuovo singolo “Cielo Elettrico” è uscito il 22 marzo, che canzone è per te questa?
È una canzone sui ricordi della mia vita, sulle atmosfere, sulle persone, sui momenti e sul fare i conti con il tempo che passa, ma senza malinconia; è un semplice osservare, come da una finestra, i passaggi della vita.
Quanto tempo ha richiesto la realizzazione del singolo?
La melodia di un brano quando mi arriva (non so da dove, ma mi arriva) dura un attimo. In quei brevi istanti, devo essere lesto a fermare quell’intuizione melodica registrandola, di solito con il registratore del telefono, che è utilissimo!! Altrimenti, sfugge via. Questo processo quindi avviene in pochi secondi, il problema è che non so quando può accadere. Una volta strutturato il brano sul piano musicale, comincio a scrivere il testo e qui i tempi sono di nuovo indeterminati. Nel caso di “Cielo Elettrico”, sono stato un mese senza scrivere una parola, poi all’improvviso ho cominciato a scrivere e non mi sono più fermato. Dei quattro blocchi di frasi di cui è composto il brano, ne avrò scritti almeno una decina. Per l’arrangiamento, avevo chiaro in testa come doveva essere. Ho spiegato dettagliatamente a Marta Venturini, produttrice e arrangiatrice del brano, che in pochi giorni ha realizzato la base. Per registrare le voci, sono bastate poche take perché volevo che l’interpretazione fosse più naturale e diretta possibile.
Per rispondere alla domanda, diciamo che sia per “Cielo Elettrico” che per altri brani già prodotti, da un punto di vista di arrangiamento, registrazione e missaggio, il tempo è breve (2/3 settimane). Per quanto riguarda invece la fase creativa (di scrittura del brano), non è proprio determinabile…
Quanto di personale c’è nei tuoi pezzi?
Tutto. Nei miei pezzi c’è la mia parte più pura, la più vera. Scrivere canzoni per me diventa un atto speciale, unico, che amo profondamente, intimo, quasi sacro. È tale l’amore che provo nel comporre canzoni che per me è un “senso” di vita. Se qualcuno mi cerca, è nelle mie canzoni che mi trova.
Cosa significano per te improvvisazione e composizione e quali sono, per te, i loro rispettivi meriti?
Le mie canzoni nascono con l’improvvisazione. Poi, ma solo in un secondo momento, per rifinire il pezzo, attingo alla teoria musicale. Per me è mille volte più semplice e divertente improvvisare un assolo di chitarra piuttosto che impararlo e ripeterlo. Nel secondo caso non sono proprio capace, devo essere libero di creare e quindi di improvvisare. Forse è anche per questo che amo molto di più la parte creativa della canzone piuttosto che quella esecutiva.
Cosa ti infastidisce, nella vita così come nell’arte, e cosa, invece, ti entusiasma?
L’ignoranza, l’arroganza e la superficialità mi disgustano. Mi entusiasmano, invece, l’unicità e il coraggio. Il coraggio di essere se stessi fino in fondo, il coraggio di provare, di fallire, rialzarsi e riprovare. Il coraggio di dire no, il coraggio di cercare nuove strade e prendersi il rischio di sbagliare. Il coraggio di essere sinceri e coerenti, il coraggio di ammettere di aver sbagliato. Il coraggio della responsabilità. Nell’arte, ma lo stesso vale in tutti gli ambiti, il coraggio unito all’unicità, intesa come essere incomparabili nello stile, nelle idee, nell’essere e nel creare, è ciò che mi entusiasma. Lungi dal voler essere il migliore, l’unicità non prevede competizione, non c’è vincitore né vinto, è al di sopra di tutto ciò: è semplicemente unica! Il vero artista è unico e non è paragonabile. Ritengo infatti che le competizioni a livello artistico non abbiano nessun senso. L’arte non è mai una competizione.