Intervista a Electro Malicious

Benvenuti su system failure. Come vi siete conosciuti? Come è nata la vostra band?

Il caso. Max cercava una cantante per i suoi Bye Bye Japan, Emay (Maria Antonietta) di ritorno da una tournée in nave lo ha contattato. Con i Bye Bye Japan poi la cosa non è andata in porto, ma Max ed Emay hanno continuato a sentirsi. Quando Max ha pensato di crearsi un side project ha subito pensato a lei ed è stato poi tutto una naturale conseguenza degli eventi. L’incontro con Alex non è stato meno casuale. Virtualmente ci si conosceva da anni, ma poi un caffè ed una chiacchierata di persona hanno convinto entrambi (Emay e Max) che Alex fosse la persona giusta. E così è stato.

Potete parlarci del vostro background musicale? Quali band vi ispirano?

Alex viene decisamente dal metal, ma conosce moltissimi linguaggi musicali. Un po’ come Max ascolta un po’ di tutto. La base comune è il punk e la synth wave. Emay è un caso a parte. Viene dal soul, dall’R’n’B. Cantante professionista, da almeno un decennio si esibisce sulle navi da crociera con repertori a volte molto eterogenei. Ama le grandi voci del passato, ma il suo recente amore per Bishop Briggs l’ha portata ad avvicinarsi al mondo del pop elettronico. Un mix di cose che ci porta ad avere un sound piuttosto personale.

Nominate qualche album che ha segnato la vostra vita…

Emay: “Whitney Huston”, l’album eponimo che contiene la versione di “Greatest Love of all” (oggi, come quando l’ascoltavo da ragazzina, mi emoziona moltissimo)… e “Church of Scars” di Bishop Briggs (un’illuminazione!)

Alex: “13th step” (A Perfect Circle)… Fat of the land (Prodigy)…

Max: “Nocturne” (Siouxsie and the Bashees)… “Rid of me” (P.J. Harvey)…

Abbiamo pubblicato il vostro singolo “Hollywood trap”. Come è nato? Raccontate tutto per bene…

Il brano è stato scritto da Max tantissimo tempo fa ed è rimasto nel cassetto a maturare. Nel tempo ne ha registrato diverse versioni, ma non era mai soddisfatto della resa finale. Ispirato dagli ultimi eventi della sua vita, ha deciso di tirarlo fuori dal cassetto e restituirgli una sua meritata dignità. L’incontro con Alex ed Emay è stata l’occasione giusta. Il loro apporto è stato determinante e tutto è andato per come lo potete ascoltare voi oggi.

Come nasce una vostra canzone? Che ambiente create per voi stessi?

Nonostante è pochissimo che si lavori insieme, c’è già una routine piuttosto rodata all’interno del gruppo, peraltro dettata dalle cose, e messa in chiaro sin dalle prime note. E’ Max che scrive le canzoni della band. Poi ciascun componente dà il suo apporto. Alex è fondamentale in fase di produzione (è lui che registra le canzoni). Il suo apporto tecnico/stilistico sono un quid importantissimo per esaltare il materiale che gli fornisce Max. Infine arriva il momento di Emay, quello interpretativo. Le sedute di prova in questa fase sono davvero bellissime. Prima di tutto si parte con un caffè, poi si comincia a lavorare su una melodia fissata in partenza, quindi si arriva ai colori che si vogliono dare al pezzo. Sembrano più prove teatrali che musicali. L’intero processo è tutto piuttosto spontaneo, semplice e naturale. Il tutto è spesso condito da grandi risate.

Chi cura il songwriting?

Come già detto, è Max che principalmente si occupa di questo. Ma ciascun membro è fondamentale per la riuscita finale del pezzo. Max è una fonte inesauribile. Passa le notti a scrivere e scrivere. E’ probabile che abbia già pronti i primi 10 dischi degli Electro Malicious e noi non lo si sappia. Metteremo presto un freno a questa cosa, magari uccidendolo.

Una domanda per la lead vocalist. Hai frequentato scuole di canto o sei autodidatta?

Ho iniziato col conservatorio, ma nello studio sono sempre stata piuttosto incostante. Ho fatto qualche corso di perfezionamento, ma essenzialmente sono un’autodidatta. Ho sempre trovato facile avere il controllo della mia voce. Per carità, bisognerebbe sempre studiare ed imparare, ed è quello che cerco di fare con molta umiltà. Ma ormai credo di aver trovato un modo mio di interpretare e la tanta esperienza di palco aiuta un bel po’.

Quali sono i vostri obbiettivi come band? Ho letto che siete in cerca di una label magari straniera…

Siamo consci di non essere una band da X-Factor. Non abbiamo l’età né l’attitudine per passare indenni da quel tipo di esperienze. Pertanto cerchiamo, in maniera pragmatica di fare quello che è nelle nostre possibilità, con sincerità e passione. In Italia è tutto drammaticamente controllato e difficile. Si, non ci dispiacerebbe trovare un’etichetta all’estero. Qualcuno che scevro dagli stupidi pregiudizi (che spesso in Italia imperano), ci aiuti a crescere ed a consolidare il nostro livello di espressività. Veniamo dalla più sincera working class. Non possiamo permetterci sponsorizzazioni costose, campagne di promozione. Tutto quello che possiamo fare è suonare al meglio delle nostre possibilità. Speriamo sempre nell’incontro giusto. E’ l’unica cosa che si possa fare qui.

Conosciamo Max Amoroso per la sua precedente band alternative rock Bye Bye Japan. Come ti trovi con queste nuove sonorità electro?

Il mio percorso musicale (come molte cose della mia vita), ha avuto un andamento non lineare. Ho iniziato col Jazz. Studiavo contrabbasso. Suonavo con ottimi strumentisti del genere (Alessandro Tomei, Roberto Pistolesi, Cesare Marinacci). Poi, un po’ un brutto incidente in cui ci ho rimesso un indice (dito fondamentale per quello strumento), un po’ la mia natura anarchica, mi ha portato lontano dai rigori scolastici a cui in Italia costringono per suonare quel genere. Ho finito per seguire la passione per il punk, per il noise, per i linguaggi d’avanguardia. Anche se di nascosto ascolto sempre Monk e Coltraine. L’elettronica è solo un mezzo espressivo. Si può fare musica con qualsiasi mezzo, l’importante è avere musica da scrivere col cuore.

Che strumentazione usate per l’elettronica?

Un pc, una scheda audio, un microfono. Poco altro.

C’è un album o un ep in progetto? Ci sono delle idee che bollono in pentola?

Progetti ne abbiamo tanti. Si avremmo il materiale per un album, ma non possiamo permetterci di registrarlo, almeno per come lo vorremmo fare. Al momento ci accontentiamo di lavorare a fari spenti, sognando un’attività live se non continua, quantomeno costante. Non vogliamo dare fastidio a nessuno. Solo fare le nostre piccole cose in serenità. Per noi la musica è un’esigenza vitale. Già che la nostra musica possa interessare a qualcuno ci sembra un miracolo. Ma alle persone dovevamo dare qualcosa da ascoltare, almeno per prendere le primissime serate, così abbiamo deciso di registrarci in casa un cd contenente due tracce completamente auto-prodotto. Uscirà i primi di dicembre e si intitolerà “First Demo”.

Come vi immaginate il vostro live perfetto?

Al Coachella Valley Music and Arts Festival, con una leggera brezza, davanti ad un mare di gente. Sognare in fondo non costa nulla… (risate)

Cosa bisogna fare secondo voi per riportare l’indie rock italiano ai fasti di un tempo(anni 90)?

Ridare credito alle persone serie. A tutti i livelli la qualità degli addetti ai lavori è scaduta terribilmente. Si nuota nel cinismo e nel trash. E’ indegno lo scempio che si sta compiendo della materia musicale. E’ tutto intasato da un mare di persone a cui, in fondo, della musica, non importa nulla. Una volta c’erano confini ben definiti, i fighetti facevano il pop, tutti gli altri l’alternative. Una pletora di figli di papà sta intasando qualsiasi strada. Non c’è spazio più per nessuno. C’è solo una televisione sempre più lontana dalla realtà ed un web sempre più neorealista. Oggi si può fare tutto e il contrario di tutto. Nel Far West c’è spazio solo per la pistola più rumorosa, a nessuno importa più centrare gli obiettivi.

Per finire, salutate i nostri lettori ed invogliateli ad ascoltare la vostra musica…

Non ascoltateci. Non c’è alcun motivo per farlo. (Risate amare)

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