Intervista a Danielpix

Benvenuto su system failure. Hai pubblicato “Rhapsody in Dark”. Lo puoi presentare ai nostri lettori. Dove è stato registrato. Che tecnica di registrazione è stata usata?

Ciao a tutti! Intanto vi vorrei ringraziare per avermi dato questa possibilità! “Rhapsody in Dark” è il mio secondo album, successivo a “Symphony” del 2017; diciamo che ne è un’evoluzione diretta. Ho cercato di creare un connubio tra la musica cinematografica e il pop/rock ed era da tempo che cercavo di creare un disco del genere! Mi occupo personalmente della composizione, registrazione, editing, mixaggio e mastering dei miei lavori: sono abbastanza pignolo al riguardo. Sono un amante sfegatato dei VST: li trovo affidabili e comodi; inoltre utilizzo una DAW opensource.

L’album, oltre al talento, cosa rivela di te?

“Rhapsody in Dark”, in sostanza, è Danielpix stesso! I due lati della stessa persona: la dolcezza e la sensibilità (la sinfonia) e il lato più misterioso e oscuro della mia anima (il rock e l’elettronica come in “Hybrid Dreams”). È l’album che al meglio mi rappresenta.

Come prende forma una tua canzone? Parla del processo creativo alla base….

Diciamo che non è facile scrivere una canzone. Se mi metto alla tastiera e provo a crearne una non ne esce mai nulla di buono. Come succedeva a Joyce, mi lascio trasportare dallo “stream of consciousness” non con le parole ma con la musica. Quando ho l’ispirazione tutto è molto più semplice, la musica si crea da sola; come se dalla mia anima arrivasse alle mie mani ed infine sulla tastiera… e non esagero!

La tua fonte di ispirazione…

La mia fonte di ispirazione è la vita stessa. Ogni tanto mi fermo a guardare ciò che mi sta intorno, soprattutto le persone; ciò che fanno, ciò che provano. I film, le serie tv (e le colonne sonore) mi aiutano parecchio.

Musicalmente, cosa ascolti?

Dalla classica moderna contemporanea (Ludovico Einaudi, Yiruma, Roberto Cacciapaglia), alla musica leggera (Cristicchi, Cremonini) fino al metal melodico (Nightwish, Delain, Lacuna Coil, Iron Maiden). Tutto ciò che ha una buona melodia, non troppo scontata, per me è musica.

Che differenza c’è nel suonare per una band e nel suonare per se stesso?

Suonare in una band significa divertirsi, creare un rapporto solido con gli altri membri e ovviamente scendere a compromessi. Suonare per se stessi, invece, dà la possibilità di potersi esprimere liberamente, essere liberi da certi vincoli e sperimentare senza alcun limite.

Il ricordo più bello legato al tuo percorso professionale…

I ricordi più belli sono quelli legati alle persone sconosciute che ascoltano suonare i mie pezzi nei vari aeroporti e stazioni ferroviare che hanno un un pianoforte a disposizione! Certe volte trovo video su di me su Youtube!

Quanto è importante la tecnica nella produzione musicale?

La tecnica è fondamentale per suonare bene uno strumento ma non è tutto. Bisogna uscire dagli schemi e da certe regole.

Un album che ha lasciato un segno indelebile nella tua memoria…

Sicuramente “Razorblade Romance” degli HIM. Un disco che ho amato dalla prima all’ultima canzone e che ha segnato il passaggio dalla mia adolescenza all’età adulta.

Per affermarsi conta più il talento o lo studio?

Per affermarsi bisogna osare, colorare fuori dai contorni e rischiare; lo studio è importante soprattutto all’inizio ma è anche necessario avere un minimo di talento.

Se dovessi trarre un bilancio, quali sono le tappe essenziali del tuo percorso?

Ho scoperto il mio orecchio relativo all’età di 5 anni, quando ho iniziato a strimpellare i jingles pubblicitari alla tv sulla mia piccola tastiera. Da ciò seguirono: due anni di studio del pianoforte, le prime composizioni di musica leggera, la partecipazioni a varie rock bands ed infine la creazione del progetto da solista.

Riesci a bilanciare la tua carriera artistica con la tua vita?

Si, è tutto molto semplice al momento. Ho molto tempo libero e lo uso prettamente per la musica.

Progetti imminenti?

Qualche mese di pausa per poi cominciare il songwriting del mio prossimo album.

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