Intervista a Crisso

Bentornato su system failure. Abbiamo pubblicato la recensione del tuo album “Porto Pazienza”. Ci parli della genesi di questo album?

Innanzitutto ringrazio la redazione di system failure per l’interesse e la considerazione riposta nella mia musica. Purtroppo, parto col dire che sono una persona che si nutre di una perenne insofferenza: “Porto Pazienza” è un’album che nasce proprio da questa insofferenza, ovvero dall’impazienza di essere/diventare qualcosa. Avverto spesso una sensazione di inutilità ed “immobilità” artistica che sfogo nella musica, ma è assolutamente una condizione da non confondere con il blocco dello scrittore o con l’egocentrismo o peggio ancora con un problema psicologico, tutt’altro, è proprio uno stile di vita che ha profonde radici nel sistema, e non quello nervoso! E’ un circolo vizioso che ci mette sempre nella condizione di dimostrare qualcosa, di scalare vette su vette, di competere, di rimpiazzarci e tu sei li che attendi il tuo turno, in un batter d’occhio ti rendi conto che tutto è girato cosi’ veloce che sembra tu non abbia neanche vissuto; fai innumerevoli cose ma resti sempre fermo, attendi, ti parcheggi in un punto di quel sistema e porti pazienza, sperando che qualcosa prima o poi cambi.

Di cosa parlano le canzoni dell’album?

I brani concettualmente sono variegati. Le canzoni argomentano uno spaccato della mia vita e del mondo che mi circonda, parlano di solitudine, di nostalgia, di sogni di gloria infranti, di politica; ma c’è anche molto amore.

Con quale criterio hai scelto i brani contenuti nell’album?

Non vi è una deontologia specifica, tuttavia se lo si può definire criterio credo che l’unico adottato sia stato quello della credibilità, l’essere sinceri con sé stessi e con chi mi ascolta. Quando si è sinceri tutto si amalgama da sé, non c’è bisogno d’altro.

Che differenza c’è con le tue produzioni passate?

Stilisticamente credo ci sia poca differenza, mi reputo abbastanza coerente, sono sempre stato onnivoro di musica, ho sempre lasciato tracce diverse di me in ogni album, o produzione che sia; amo sorprendere e superarmi e ad ogni mio lavoro desidero che non ci si aspetti mai nulla. Sicuramente rispetto alle produzioni passate c’è maggiore maturità e consapevolezza, sia musicale che concettuale, ma soprattutto c’è maggiore sperimentazione e ricerca del suono.

Quale è il filo rosso che unisce le tue canzoni?

Quello della malinconia.

Se la tua musica fosse un quadro, un libro o un film?

Al momento ti direi il film “Non essere cattivo” di Caligari, l’autoritratto de “L’uomo disperato” di Courbet e “Nelle terre estreme” di Krakauer.

Studio, talento e tecnica. Come si devono intrecciare in un artista?

Lo studio è la base di ogni cosa, ti da la consapevolezza di quello che fai, forma la tua personalità ponendo le fondamenta per le tue esperienze. Puoi essere talentuoso, puoi essere un virtuoso, ma senza lo studio non potrai mai scegliere univocamente né vedere oltre lo scenario prefissato, ti troverai sempre ad un vicolo cieco.

Secondo te, qual è la cosa più importante nello scrivere una canzone ?

Credo sia sentirsi prigionieri di qualcosa, fare in modo che si ottenga quella spinta giusta per lasciare la follia libera di aprirsi e comunicare senza filtri. Poi dipende se intendi una bella canzone, o per l’appunto, solo una canzone. Nel mio caso funziona cosi, ed è li che la musica diventa anche terapeutica.

Hai mai paura di rivelare aspetti della tua vita personale a estranei attraverso la tua musica?

Più che paura mi è capitato di provare imbarazzo, di mettermi nei panni di chi stava ascoltando ed immaginare cosa stesse pensando di me in quel momento. Ma paura no, se avessi paura dovrei evitare di fare il cantautore, non farebbe per me.

Qual è il migliore verso che hai mai scritto?

Ce ne sono molti che ovviamente mi piacciono, ma non credo ce ne sia uno migliore, molto dipende da quello che associ, anche la frase più banale potrebbe significarti un mondo di cose e può diventare la migliore… ti lascio quelli che mi passano ora per la mente…tipo
“troppo tempo che ho nascosto la mia testa sulla terra, come fa uno struzzo
paghi il prezzo di chi è nato nel posto sbagliato
o che ha sbagliato a crescere, ma nel posto giusto”

oppure

la fedeltà purtroppo non la comprerai al mercato
la verità si omette come la c per un toscano
oppure

“Già da piccolo volevo fare strada e invece questa strada sembra farsi piccola già, la vita è strana”

Qual è stato il miglior momento della tua carriera? E il più difficile?

Paradossalmente il miglior momento della mia carriera è stato l’inizio, cioè quando una carriera ancora doveva avviarsi. Erano tempi in cui l’hip hop era davvero molto di nicchia, ma fu il periodo in cui ero visto come l’eccezione alla regola, nel bene o nel male mi consideravano e c’era chi azzardava a chiamarmi per live in contesti molto sobri e pacati, ma almeno mi sentivo qualcosa, mi sentivo utile alla causa. Oggi invece lo reputo il periodo più buio e difficile. Ogni mio sforzo, ogni mio sacrificio è camuffato da questa enorme secrezione di pseudo-talenti ossessionati dalla fama e dal successo, ed in questo marasma finisci ad avere 30 anni che ti chiamano ancora emergente.

Per finire, saluta i nostri lettori e parlaci dei tuoi progetti futuri…

Saluto con affetto tutti i lettori di System Failure, e ringrazio di cuore la redazione per il supporto che da alla musica e agli artisti. Al momento sto lavorando ad un brano dedicato ad un rivoluzionario dei nostri tempi che purtroppo è venuto a mancare qualche anno fa. Inoltre vorrei molto soddisfare il desiderio di potermi esprimere in altri modi oltre che con la musica, per cui spero di tornare presto per darvi risposte più concrete.