
Intervista a Carlo Pontevolpe
Carlo Pontevolpe, cantautore lucano residente a Milano, è capace di trasformare le emozioni in musica, con uno stile che intreccia testi profondi e melodie evocative. Il suo ultimo singolo, Vi Voglio Bene, nasce da un’esperienza personale intensa e si traduce in un messaggio universale di riconciliazione e amore. Con una sensibilità artistica che rifugge le mode passeggere, l’artista esplora il potere della musica come strumento di connessione interiore.
Il tuo stile si distingue per l’armonia tra testo e melodia. Quando componi, cosa ti ispira di più: un’emozione, una frase o un giro di accordi?
Ciao e grazie per questo spazio. Per me, ogni canzone è un viaggio a sé. Ho iniziato a scrivere in maniera prolifica quando ho capito che non ci sono schemi da seguire. Spesso è l’istinto a guidarmi, così come è stato per “Vi Voglio Bene” per la quale, guidato da una forte emozione, ho iniziato a “giocare” con gli accordi partendo da un’idea simbolica: le tastiere per bambini, prive di tasti neri.
Hai un luogo o un momento della giornata in cui la creatività si fa sentire più forte?
Mi piace scrivere in tarda serata, intorno a mezzanotte, quando tutti dormono e puoi davvero concentrarti. Ma l’ispirazione può arrivare in ogni momento della giornata.
Parliamo del tuo nuovo singolo, “Vi voglio bene”. Cosa puoi raccontarci di questa tua ultima creazione?
“Vi Voglio Bene” è nata da un diverbio con l’allora mio unico figlio, quando mia moglie aspettava già il secondogenito. Mi ha insegnato profondamente che si può reindirizzare l’energia negativa in qualcosa di positivo così come quando invece di continuare a urlarsi a vicenda, ci si abbraccia e si riparte. Mi emoziona sempre riascoltarla e cantarla, credo che l’arrangiamento sia perfetto per quello che volevo comunicare e per questo ringrazio il mio produttore (The Leaf) che ha saputo mixare perfettamente gli elementi che avevo proposto per “vestire” il brano e quelli che lui ha voluto aggiungere.
Ti è mai capitato di scartare una canzone perché non ti rappresentava più? C’è un brano che vorresti riprendere in mano in futuro?
Mi è capitato di accantonare dei brani, ma non tanto perché non mi rappresentavano, ma perché non ero soddisfatto del risultato rispetto a quello che volevo comunicare. Questo perché cerco sempre di portare le composizioni ad un livello universale, non troppo personale. La prima canzone in assoluto che ho scritto, a 17 anni, è ancora nel cassetto e credo abbia un ritornello molto potente, ma sto provando da tempo a scrivere delle strofe valide e non sono ancora soddisfatto. Di sicuro la riprenderò nel futuro.
Nei tuoi testi esplori spesso emozioni profonde e personali. C’è un tema che trovi particolarmente difficile da trasformare in musica?
Forse la rabbia, per il genere che faccio, ma anche perché tendo a non alimentarla. Tuttavia, c’è un sentimento che in qualche modo è affine alla rabbia, la frustrazione, che mi affascina e mi tormenta a volte. Sicuramente nel prossimo singolo sentirete molto l’influenza di questa cosa.
Se dovessi scegliere una tua canzone per descrivere chi sei oggi, quale sarebbe e perché?
Oggi la canzone che mi rappresenta di più è senza dubbio “Vi Voglio Bene”, perché mi identifico molto nel ruolo di padre e perché amo i miei figli in maniera indescrivibile, nonostante le difficoltà di essere genitori-lavoratori entrambi sia io che mia moglie, e senza l’aiuto di alcun parente, dato che viviamo in una città a mille chilometri dai nostri cari.
Quanto è importante per te il riscontro del pubblico? Ti capita di modificare un brano in base alle reazioni di chi ti ascolta?
Il riscontro è comunque importante perché è innegabile che faccia piacere quando la tua arte arriva a qualcuno. Alla base di ciò che faccio c’è sicuramente una volontà di esprimermi e di connettermi con il mio universo interiore, ma è anche vero che la comunicazione e l’espressione sono incomplete se implodono in noi stessi. Abbiamo bisogno di uno spettatore, di un pubblico. Non è solo una questione di ego. È il bisogno di connettersi anche con gli altri. Ma non modificherei MAI un brano solo per piacere al pubblico, anche perché lo spettatore più critico sono io stesso. Se una cosa piace a me, mi sento in pace, a prescindere dall’eventuale riscontro esterno. Se facessi una cosa solo per piacere agli altri e poi non piacesse, sarei insoddisfatto due volte.
Il panorama musicale italiano è in continua evoluzione. Come vedi il futuro del cantautorato in un’epoca dominata dalle playlist e dall’ascolto veloce?
I cantautori bravi e raffinati in giro ci sono sempre stati, semplicemente i riflettori erano stati puntati altrove. È una cosa buona che stia tornando l’interesse verso la musica che ha qualcosa da dire di profondo, meno “di consumo”. Io personalmente non avevo dubbi che prima o poi il pubblico si sarebbe stancato di ciò che ha dominato il mercato negli ultimi anni. Speriamo sia l’inizio di una nuova fase e che tanti altri cantautori ricevano le attenzioni delle major e delle radio, perché solo così potranno farsi sentire davvero.