Intervista a Capolupo

Hai iniziato il tuo percorso musicale fondando gli Estranea, una band pop/rock con cui hai vinto il prestigioso trofeo Roxy Bar. Che emozioni hai provato?

È stata una grande emozione e un’ottima vetrina per farci conoscere. All’epoca, il Roxy Bar era l’unico programma televisivo, oltre a Sanremo, dove le band emergenti potevano proporre musica originale. Puntata dopo puntata, siamo arrivati alla finale e abbiamo vinto il trofeo con il brano “Direzione Estranea”. Alla fine dell’esibizione, ci è arrivata una telefonata in redazione da parte di un addetto ai lavori interessato al gruppo, di nome Claudio. Contattandolo, abbiamo scoperto che si trattava di Claudio Dentes, noto produttore di Elio e le Storie Tese e talent scout per diverse major.

Claudio Dentes. Cosa ha significato per te conoscerlo?

Sarò sempre riconoscente a Claudio Dentes. È stato uno dei primi a credere fermamente in noi, investendo tempo e denaro per realizzare il nostro primo album. È stata un’esperienza straordinaria, che ci ha permesso di imparare anche la gestione manageriale di un progetto musicale. Successivamente, è stato proprio Dentes a presentarci alla Sugar Music di Caterina Caselli, con la quale abbiamo firmato il nostro primo contratto discografico.

Il Primo Maggio a Roma e Sanremo Giovani. Cosa ricordi di quelle esperienze?

Sono state due esperienze molto diverse ma entrambe incredibili. L’esibizione al Primo Maggio di Roma è arrivata in occasione della pubblicazione del primo album degli Estranea. Siamo saliti sul palco senza sound check e abbiamo suonato davanti a una folla immensa, che ci ha accolto con un entusiasmo tale che, al termine dell’esibizione, l’organizzazione ci ha chiesto di suonare un ulteriore brano… “One, two, three, four!” A Sanremo, ho partecipato con i Milagro, presentando il brano “Domani”. Grazie a Pippo Baudo, direttore artistico e presentatore del Festival, siamo stati selezionati. È stato un traguardo significativo, perché ho avuto l’opportunità di salire su quel palco con un progetto di cui ero sia autore che produttore artistico. Vorrei cogliere l’occasione per ringraziare Marco Stanzani, Patrizio Romano e Paolo Romani della EMI Music per aver reso possibile tutto ciò.

Qual è la differenza tra suonare per se stessi e suonare per una band? Come è avvenuta questa transizione?

Sono entrambe esperienze bellissime, seppur diverse. Suonare in una band è come far parte di una famiglia, dove ognuno ha un ruolo specifico. Da solisti, nel bene e nel male, ci si assume la totale responsabilità del progetto. Nel mio caso, l’esordio da solista è avvenuto in modo naturale. L’occasione si è presentata dopo aver composto brani estremamente intimi e personali, sentendo per la prima volta il forte desiderio di essere io il rappresentante diretto di quel flusso creativo.

“Tra i miei disordini”: la sua uscita è prevista per l’autunno 2024. Cosa ci puoi anticipare riguardo questo album?

È un album non previsto, e proprio per questo è speciale. Il flusso emotivo e l’autenticità della storia che racconto hanno guidato ogni scelta in maniera estremamente spontanea. È un disco circolare, con un inizio e una fine, e al centro ci sono le emozioni in tutte le loro sfaccettature.

“Cantautore in bilico tra i miei disordini”. Queste parole le ho trovate sul tuo profilo Instagram. Cosa ci puoi dire a riguardo?

Mi piace definirmi cantautore in bilico perché la mia creatività si nutre e attinge principalmente dal mio lato più vulnerabile e instabile. Essere in bilico significa proprio questo: trovare ispirazione nei momenti di incertezza. I miei disordini rappresentano tutti quei conflitti interiori o irrisolti che accetto e faccio fluire attraverso la forza emotiva che solo la musica mi consente di esprimere.

“Gioie e Paranoie”. Di cosa parla? Ci puoi svelare il significato di questa canzone?

“Gioie e Paranoie” raccoglie, con un po’ di ironia e cinismo, la frustrazione di sentirsi intrappolati in luoghi comuni che spesso non ci rappresentano. È la fotografia di una realtà ingabbiata in una vita frenetica e alienante, in cui c’è sempre meno spazio per nutrire la nostra essenza.