Intervista a Ben Slavin
1)Benvenuto su System failure. Presentati e parlaci del tuo progetto musicale….
Grazie! Sono un cantautore americano che vive in Italia da quasi 20 anni. “The Pines” è un disco che racconta la mia infanzia trascorsa nella parte meridionale del New Jersey che si chiama “Pine Barrens” e di qualche mito del luogo.
2)Come è nata in te la passione per la musica?
Mia madre cantava nei musical e mio padre è appassionato di lirica. A 16 anni ho iniziato a studiare da baritono ed ho frequentato il conservatorio in Arizona dove ho studiato il canto. Conseguita la laurea mi sono trasferito a Milano per approfondire gli studi ma la mia passione per la musica cantautorale è stata più forte.
3)Quale è la tua massima ambizione come artista?
Mah…scrivere e fare dischi senza morire di fame.
4)Quale messaggio vuoi trasmettere con la tua musica?
L’altro giorno ho visto un “Ted Talks” molto interessante secondo cui le persone che hanno più successo sono quelle che riescono a trasmettere il perché fanno determinate cose e non semplicemente il “cosa” fanno. Io faccio quello che faccio per spiegare me a me stesso. Scrivo per capire perché ho fatto determinate scelte nella mia vita. E lo faccio cantando perché è l’unica maniera in cui so esprimermi. Ho un carattere un po’ strano e spesso non riesco a relazionarmi con le persone e faccio una quantità di gaffe impressionanti. La musica per me è semplicemente un modo efficace per comunicare senza sentirmi giudicato dagli altri.
5)”The Pines” è il tuo il nuovo disco. Ci puoi parlare della sua genesi? Dove è stato registrato?
Dopo tanti trascorsi in Italia, iniziavo a sentire un forte distacco dalla mia cultura e dal mio paese. Ho iniziato a sentirmi davvero isolato. Volevo scrivere delle canzoni per spiegare a me stesso perché ho fatto determinate scelte nella mia vita. Avevo bisogno di capire da cosa del mio passato sono scappato. Poi ho visto un concerto del progetto solista di Andrea Faccioli (Cabeki): per la prima volta in Italia ho visto qualcuno che suonava gli strumenti proprio della mia terra e li manipolava per fare una musica che, secondo me, ha un suono unico. Ho chiesto ad Andrea se fosse interessato a produrre il disco e mi ha detto di sì. Senza di lui il disco non l’avrei fatto perché credo sia l’unico musicista in Italia in grado a capire il sound che volevo per questo disco. Ho registrato chitarra e voce a Napoli e lui ha arrangiato i pezzi nello suo studio a Verona. L’ho poi raggiunto per finire alcune voci. A gennaio era tutto pronto.
6)Su quale traccia di “The Pines” mi dovrei soffermare e perché?
Penso che il disco si capisca con la prima e l’ultima canzone. “To Wait, My Love” è l’introduzione ad un viaggio: i pini della mia infanzia, i pini marittimi d’Italia. La crisi che apre un sentiero di voci dal passato. I simboli di una vita passata che cadono sotto i piedi. L’altra è “Lithograph Train” nella quale spiego ad un me stesso più giovane cosa lo attende al di là dell’oceano. Che la vita è una sorta di litografia che si ripete. L’immagine di un treno che dà solo l’illusione del movimento ma alla fine è soltanto una copia di un se stesso che sta sempre fermo. Le fasi della vita sono sempre uguali, il movimento dà solo un falsa sensazione di cambiamento.
7)Come è stato lavorare con Andrea Faccioli?
Pur essendo persone molto diverse c’è stata una grande sintonia artistica. Lui per fortuna è molto pignolo e preciso mentre io spesso non mi ricordo come mi chiamo e dove sono. Ma la nostra percezione di come si fa la musica è identica. Come ho detto prima, credo che nessun altro musicista avrebbe potuto interpretare questo disco. Abbiamo un linguaggio musicale molto simile e sono stato molto fortunato di poter collaborare con lui.
8)Che consiglio ti senti di dare ad una band o ad un artista agli esordi?
Essere se stessi, fare quello che realmente vogliono. L’industria musicale ormai non esiste più e l’ultima cosa di cui abbiamo bisogno sono imitazioni di altri artisti.
9)Per te è più importante il talento o la tecnica?
Entrambi. Il talento si sviluppa attraverso la tecnica. Devi ascoltare di tutto….ma davvero di tutto. Dalla musica tradizionale degli Himalaya alle canzoni di Mahler ai AC/DC. Bisogna mettere insieme ciò che ti piace ma devi poi inventarti un tuo stile che ti permetta di distinguerti dalla massa. Non sento proprio il bisogno dell’ennesima copia di Bon Iver.
10)Qualche nuovo progetto in cantiere?
Sto già lavorando al prossimo disco con un amico di Los Angeles che scrive per il cinema. Il progetto è assai particolare e spero di poter riuscire a farlo bene ma ci vorrà un bel po’ di tempo!
11)Se la tua musica fosse un quadro a quale assomiglierebbe? E se fosse un film?
Quadro: Una via di mezzo fra l’arte Naive europea tipo Alfred Wallis o anche Rosseau con un po di folk art Americano del sud tipo Bill Traylor.
Film: Beh…diciamo che quest’album è una sorte “Stromboli” ma con me al posto della Bergman che prova a scappare dal New Jersey.
12)Un album che ha segnato la tua vita…
“Boys for Pele” di Tori Amos e “Sunday in the Park with George” di Stephen Sondheim. Entrambi perfetti…
13)Lasciaci con un tuo motto….
Every tool is a weapon…if you hold it right.