Intervista a Ario De Pompeis
Benvenuto su system failure. Come ti sei avvicinato al mondo della musica?
In realtà la musica ha fatto parte della mia vita fin da piccolo. Mia nonna era una cantante, mio padre un divoratore di vinili e musicassette, era un eclettico.
Fuori dal 8 aprile “Amanti distanti”, il nuovo singolo di Ario De Pompeis e Lorena Bartoli, con l’arrangiamento di Fabrizio D’Angelo. Come è collaborare con Lorena Bartoli?
Lorena la conosco da circa 7 anni. Artisticamente mi ha sempre affascinato il suo modo di esprimersi vocalmente. Ci siamo rivisti dopo tanto tempo in un live in teatro- L’ho invitata nel mio home studio per un caffè e subito ci siamo resi conto che c’era un ottimo connubio, e abbiamo deciso di duettare “Amanti distanti”.
Come è collaborare, invece, con Fabrizio D’Angelo?
Con Fabrizio è stato tutto casuale. Tramite il mio editore Claudio Poggi c’è stato un incontro telefonico. Io ero ignaro del suo passato. Stiamo parlando di uno dei primi tastieristi di Pino Daniele, A. Sorrenti, G.Paoli e tanti altri . All’inizio c’è stato uno scambio di idee musicali, poi è diventato (in gergo) il sarto dei miei brani.
“Amanti distanti” è un dialogo e il racconto di un’amore segreto, da film di Ozpetek. Come mai la scelta di raccontarlo in musica?
È l’unico modo di esprimermi che forse mi riesce meglio, con un pizzico di ironia naturalmente, tutto ciò che mi circonda stimola spesso un pensiero musicale. Io lo chiamo “Il rifugio”: è un modo di comunicare delle emozioni; le note sono piccole barche che trasportano parole, concetti, sentimenti.
Come hai elaborato il tuo particolare sound?
Amo la musica, c’è del buono e del brutto in qualsiasi genere musicale. Prediligo i brani con testi d’autore. A volte dipende dallo stato d’animo, se sto con l’umore giusto. Da giovane ascoltavo rock, blues, pop, un po’ di tutto, poi, crescendo, mi sono soffermato ai cantautori.
Se la tua musica fosse un quadro, un libro o un film?
Un quadro? “Campi dei girasoli” di Van Gogh. Un libro sembrerà forse strano perché è adolescenziale: “Il piccolo principe”. Un film: “Prendimi l’anima” la storia dell’allievo di Freud , Yung, che ha una relazione con una sua paziente.
Quale è la differenza tra suonare per se stessi e suonare per una band?
Diciamo che io suono sempre per me stesso , con l’intento di trasmettere qualcosa, che sia attraverso uno strumento, o vocalmente, sembra di stare sempre da soli in mezzo a tanta gente.
Come nasce una tua canzone? Che ambiente crei intorno a te stesso?
Non saprei dirlo, può nascere per caso o dall’esigenza di raccontare un evento, di raccontarsi. C’è chi si fuma un pacchetto di sigarette per scaricare tensioni e c’è chi passa giornate a suonare uno strumento, a scrivere. Il luogo per me è fondamentale, dev’essere silenzioso, non molto grande. Ci deve stare quell’odore di strumenti…Lo so è strano, molti brani sono nati di notte mentre tutto taceva.
Riesci a bilanciare la tua musica e la tua carriera artistica?
Nei miei squilibri, nei miei disordini, trovo sempre una direzione precisa. Punto all’entusiasmo, cerco di fare solo ciò che mi piace, mi ascolto seguendo l’istinto…poche volte sbaglia, ci vuole molto coraggio per chi fa musica oggi.
In un mondo in crisi geopolitica, climatica e sanitaria, quale è il ruolo della musica?
Dovrebbe essere una sorta di medicina, un anti stress, una bilancia che elimina il peso della vita. Tra noi “musicanti” c’è stato uno scambio notevole, molti sono stati solidali…qualcuno un po’ di meno.
Per finire, saluta i nostri lettori e raccontaci un aneddoto della tua carriera musicale?
Un saluto a tutti coloro che amano la musica in tutte le sue sfaccettature. Il mio aneddoto non lo potrei mai dimenticare: ero in teatro, dopo la mia esibizione si dimenticarono di spegnere il mio microfono archetto. Dietro le quinte scherzosamente dissi: caspita il più giovane tra il pubblico avrà 100 anni praticamente. ..sentirono tutti, volevo sprofondare….
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