Intervista a Androgynus
Come ti sei avvicinato al mondo della musica?
Mio padre fa il liutaio, si è diplomato a Cremona, ed è grazie a lui e a mia madre se a 7 anni ho iniziato a prendere lezioni di violino! Si dice spesso che a quell’età sono i “grandi” che devono spingere il bambino a continuare e infatti io non ero così convinto di questo percorso anche se la musica mi piaceva e mi riusciva. A 13 anni e ho scoperto il mondo del rock e ho esteso i miei confini musicali e da quel momento è una scoperta continua che ancora oggi mi appassiona. Con la musica classica comunque non ho mai smesso, mi sono laureato l’anno scorso al Santa Cecilia di Roma e nonostante le difficoltà sono sempre stato spinto a continuare. Sono convinto che fra ogni genere musicale ci siano più somiglianze che differenze e ho sempre cercato di indagare i linguaggi a me non così vicini.
Per te cosa significa fare musica?
Per me fare musica bene non è tanto diverso da condurre una vita consapevole. Ho più volte constatato quanto la buona riuscita di un progetto sia direttamente collegata al benessere e alla forza d’animo di chi lo porta avanti. E questo penso si possa applicare ad ogni progetto di vita, non solo musicale.
Il primo LP di Androgynus è descritto da Repubblica (Firenze) come una sintesi ideale tra Battisti, Battiato, glam rock e psichedelia. Puoi commentare queste parole?
Come dicevo prima io amo tantissimi stili e talvolta ho pensato che questa potesse essere una debolezza in un mondo che taglia i generi in maniera così netta e premia chi si specializza in qualcosa. Battisti e Battiato sono due nomi enormi e ciò è dovuto sicuramente alla loro genialità, ma molto è anche leggenda. Sono anche due nomi che spesso non si associano perché sono agli antipodi, Battisti era molto emotivo ed è famoso per le sue canzoni d’amore, anche se in alcuni album (“Anima Latina”, “Il Nostro Caro Angelo”) c’è un pensiero filosofico ben preciso. Battiato risulta a volte più glaciale, è famoso per i suoi testi provocatori e immaginifici de “La Voce del Padrone” ma anche per la spiritualità e l’esoterismo. A me piacciono entrambi questi approcci e ho sempre cercato di esplorarli entrambi. Il glam rock per me è eleganza e sensualità fatta genere, è libertà d’espressione che coinvolge la performance e di conseguenza il modo di porsi con il corpo oltre che con il suono, con le proprie scelte estetiche. La psichedelia esplora un mondo sotterraneo e profondo che mi è sempre interessato, Battiato diceva che nel campo artistico il “breve” vince sul “lungo” e la “chiarezza” vince sull’”oscurità”, diciamo che la psichedelia in musica è una ricerca al confine tra questi due estremi.
Alcatraz di Milano e l’Arena di Verona. Cosa hai provato a suonare in questi luoghi?
Beh! Penso che l’ambizione di ogni musicista sia suonare in un palco importante davanti a centinaia o migliaia di persone! Io mi sono ritrovato in queste circostanze in qualità di musicista di Lucio Corsi, il quale ringrazio moltissimo, in quel periodo abbiamo suonato anche al Firenze Rocks in apertura ai The Who. Dopo questa esperienza ho capito molte cose, si vivono energie molto potenti, soprattutto durante il live, ma finiscono spesso con il concerto. Ho anche scoperto che il mondo dello spettacolo è molto freddo ed individualista, anche se ci sei dentro.
Come nasce una tua canzone? Che ambiente crei intorno a te?
Una canzone nasce da un impulso a volerla fare innanzitutto… Che sia per ispirazione o volontà, bisogna sempre ricordarsi che un progetto musicale è una cosa impegnativa, se la si vuole fare bene, e quindi bisogna curare se stessi prima di iniziare. Concedersi delle pause, non stare 10 ore consecutive al computer a produrre ad esempio, cercare di avere le idee chiare o almeno essere consapevoli che si è confusi. In parte le cose funzionano con l’ispirazione e la casualità del momento, ma quando ci si blocca bisogna adottare un’altra strategia. Ad esempio se scrivi dei testi dovrai capire quello che stai scrivendo, cosa vuoi comunicare, e quindi approfondire le tematiche che ti interessano, ascoltare in maniera attiva gli artisti che ti piacciono. A volte invece il problema è più estetico. Mi è capitato che la svolta sia arrivata da qualcun altro, arriva in studio, aggiusta dei testi o delle musiche e a quel punto tutto inizia a girare. Io penso in ogni caso che una visione olistica a 360 gradi sia l’unica possibile e intorno a me voglio un ambiente che abbia questi valori!
Chi sono i tuoi miti musicali?
David Bowie, MGMT, Battiato, Battisti, Laszlo, gli Wow, i Baustelle, i Beatles. Per quanto riguarda la musica classica è più difficile perché molto dipende da chi la esegue, ma le giuste incisioni sono dei capolavori indiscussi, di qualsiasi autore noto di musica colta. In ogni caso non si può capire un brano o un disco senza amarlo, e se non lo si ama è meglio lasciar perdere. È l’innamoramento che ti dà la capacità di vedere le immagini, le atmosfere che sono nascoste dentro il file WAV, di entrare nella stessa lunghezza d’onda di chi le ha create, se chi le ha create ha messo qualcosa di potente dentro le sue opere.
“Danza magica”. Lo puoi presentare ai nostri lettori?
“Danza Magica” è una canzone metaforica ma io credo che a livello inconscio il messaggio sia molto preciso. L’idea del testo è partita da una meditazione di Piergiorgio Caselli su youtube, parlava del fatto che la vita è una “festa”, non un serie di problemi da risolvere. La notte è la metafora dell’oscurità che ci spaventa ma sotto sotto ci attrae. È la metafora della tossicità di alcuni comportamenti che abbiamo nei confronti di noi stessi e della vita in generale. Accettando l’esistenza di questo lato oscuro possiamo trasformarci ed evolverci. In questi termini va intesa la frase “abbracciare senza ali tutto il cielo”, oppure “tornare a respirare dentro il mare”. Ci sembra impossibile avere i mezzi per affrontare le difficoltà, andare oltre sé stessi, come è impossibile volare, o respirare sott’acqua, però i mezzi arrivano se siamo aperti.
Il videoclip di “Danza magica”. Cosa puoi dirci a riguardo?
È un montaggio personale di “Omega”, nastro degli anni 70, che mostra alcune immagini dell’universo e di questi ragazzi intenti a meditare, alla fine questi ragazzi insieme al resto dell’umanità si trasformano in sfere di luce e ritornano al centro dell’universo riunendosi con il tutto. Questa cosa va intesa ovviamente in senso metaforico, io penso che il ritorno al tutto sia semplicemente un distaccarsi dalla nostra piccola individualità a favore di una consapevolezza più ampia che porta a risolvere i nostri problemi, ma anche ad essere di grande aiuto per gli altri, e di andare molto oltre a quelle che sono le nostre attuali concezioni di noi stessi e del senso della vita.