Gli Otium – Nessun Negoziato

Gli Otium confezionano, con “Nessun Negoziato” (La Stanza Nascosta Records, 2019) un album che, sebbene sia materialmente un esordio, dell’acerbità proverbiale dell’esordio ha ben poco, se non nulla.

Marco e Michele sembrano avere le idee chiare: l’ascoltatore è totalmente assorbito dall’ascolto, dalla prima all’ultima canzone, contagiato da quell’otium che rappresenta, prima di tutto, una filosofia di vita e che è il motore della loro, brillantissima, “musica da camera” (come amano definirla).

Nell’album aleggia un travolgente spirito di libertà: libertà da condizionamenti stilistici, da moduli preconfezionati, libertà da stilemi espressivi; quella libertà, infine, dall’ossessione di piacere a tutti i costi che è il segreto di un’ espressione artistica autentica.

Nessuna costruzione, nessuna costrizione. Nessuna velleità di analisi anima, per loro stessa ammissione, Gli Otium, eppure la loro rappresentazione del postmoderno è, in musica, tra le più efficaci e vere sentite negli ultimi dieci anni.

Dietro le canzoni del nostro album” – raccontano Gli Otium – “c’è un sorriso costante e mai una derisione”; quello stesso sorriso che, con tutta probabilità, contagerà Simone Cristicchi, “bersaglio” della divertentissima “Anita”, “Sei diventato tu/ bravo cantando/ di quanto era povero Biagio Antonacci/ usando a pretesto /la scusa geniale/ di fare il banale e non esserlo…”.

Particolarmente riuscita “Marta”, con la felice citazione di “Walk on the Wild Side” e un’atmosfera vagamente a la Rino Gaetano. Attenzione però, sotto tanta apparente “innocuità” e, se vogliamo, godibile vacuità, appena al di sotto della veste leggera di melodie e arrangiamenti poppeggianti, c’è una intensa capacità di penetrazione della realtà, che abbraccia fallimenti sentimentali (“Sofia”) e, più in generale “esistenziali (“Altri inferni”), dinamiche di politica internazionale (“Il dittatore asiatico”), perfino la dimensione più intima della religiosità (“Ciao sono quel Dio”) e le sue, bizzarre, “storture” (“Papa Francesco”); insomma una dimensione cantautorale solida e complessa, dalle declinazioni molteplici.

Un album, perciò, difficilmente catalogabile, etichettabile, archiviabile, in cui brani volutamente nonsense si affiancano da una prosa lucidissima, felicissima nelle soluzioni testuali e sonore. Potremmo azzardare dei paragoni: il già citato Rino Gaetano, Max Gazzè, Tricarico, perché no…anche la leggendaria coppia Mogol-Battisti. Scusate se è poco….