ECHOES – esce l’album dal titolo “Io”

L’album “Io” si presenta come un concept album che invita l’ascoltatore a immergersi in un viaggio emotivo, dove l’assenza di voce lascia spazio all’immaginazione e a chiunque di poter provare la sensazione di perdere tutto, dalla famiglia agli amici fino ai beni consumistici che hanno corrotto la mente ed il corpo dell’uomo

La band ci presenta l’album con queste parole e le varie canzoni, che sono capitoli, sembrano tappe di un viaggio musicale stupefacente.

Nel primo capitolo, La città cade, abbiamo sonorità industrial/electro in una sorta di intro nidificato, sonorità che possono mandare la mente a Nine Inch Nails, quelli più sperimentali. I due refrain principali scandiscono il passo poi ne arriva un terzo che ci conduce alla sezione successiva dove la canzone si apre mostrando il suo lato ambient. E poi ancora, verso i tre minuti, entrano chitarre e tutto il resto per un sound a momenti più doom a momenti simil nu metal alla Slipknot. Il basso comanda con il suo essere tanto preponderante. Comunque tutto si tende alle basse frequenze con una buona dose di distorsioni/noise ed un ottimo sound design. I pochi bagliori melodici tentano di farsi strada in un muro sonoro basso che sembra invalicabile.

Jacintho inizia con un beat ritmato e altro suono atmosferico accompagnato da un refrain/variazione al tema dominante. In questa fase la canzone sembra trip hop ma poi entra un basso tremendo stoner-eggiante. E ancora sonorità in stile sci fi/NIN con riffoni pesanti come macigni. Il sound è a metà tra doom metal, industrial ed electro. Quel synth arp si stampa subito nella memoria, ottimamente elaborato nel sound design, diventa la cifra essenziale del pezzo, un asse nerboruto per un pezzo doom dai tratti anche mentali.

Il nomade: il viaggio. Appunto, il viaggio inesorabile, inevitabile continua in questo concept album. Se ascoltiamo tutto con estrema attenzione sembra un’epopea in paesaggi arcani, ancestrali, surreali. Un pattern electro ossessivo arriva a puntellare il nostro cervello. L’esperienza sonora è stupendamente immersiva e cangiante allo stesso tempo. Il nomade: questa non è casa è arricchimento e prosecuzione del capitolo precedente. La chitarra abbastanza bassa dialoga con il basso prima lievemente poi arrivano altri riff portentosi doom. Il dialogo poi diventa a tre e il tutto è di una bellezza e completezza disarmante con un climax apocalittico.

Astio ci porta verso la fine del disco con il suo mood sinistro, alieno, mood che comunque pervade diversi tratti dell’intero concept album. Da questa canzone come da tutto il resto si evince che una delle peculiarità di questa band è quella di saper impostare un songwriting superbamente curato. In astio come altrove troviamo pattern che si sposano a meraviglia con altri trovando armonie azzeccate. Qui alcuni passaggi fanno pensare a God is an astronaut, passaggi post-rock incredibili, pungenti. Sono certo che assistere ad un live di questa band deve essere un qualcosa di indimenticabile. Dopo i sei minuti arrivano altre impressioni sonore granitiche, possenti.

L’orco termina il tutto, capitolo più lungo, l’imprimatur. E ancora patterns sci fi robotici. Nell’impianto il LUFS è quasi al limite, master da paura, preciso, equilibrato ma nondimeno potente e “sparato” senza eccedere. Echoes sa dimostrare inventiva nel mettere insieme sonorità affini ma anche diverse tra loro per un mix contorto, creativo, dai tratti electro viaggianti e dalle botte doom metal vigorose con qualche accenno post-rock che non fa male. L’orco rappresenta la summa del disco, il mostro finale, tutte le sonorità ed intrecci che la band sapientemente sa mettere in campo con un mix abbastanza buono, molto ben congegnato.

“Io” secondo me rappresenta l’intersezione tra piani musicali che dialogano tra loro in modo splendido con l’intento di creare una rete di cunicoli sonori nei quali perdersi completamente. Dopo tutto cosa è la musica se non una sorta di droga allucinogena con la quale arrivare ad anfratti nascosti del nostro “IO”. E con Echoes tutto questo è possibile perché si tende a toccare l’ineffabile con melodie talvolta molto noise ed armonie indovinate, tra l’altro. I passaggi doom arrivano al momento giusto a spezzare il ritmo, come tante cose in questo disco che va ascoltato diverse volte per cogliere la grande quantità di sfumature presenti. Quanta creatività, quanto ingegno da parte di questa band…

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