Blowout – Buried Strength

I Blowout sono una band metal nata a Mezzolombardo nel 2013. La loro formazione vede Igor Rossi alla voce, Giuseppe Fontanari e Andrea Avancini alle chitarre, Lorenzo Helfer al basso e Michele Matuella alla batteria. Il 25 settembre 2017 hanno pubblicato il loro secondo album, intitolato “Buried Strength“. L’album è un ottimo incontro tra lo stoner e lo sludge, con toni molto cupi, ma che lascia spazio in certi casi ad interessanti cambi di dinamiche e sviluppi melodici.

L’album si apre con un massiccio muro di suono dato dal riff di Cheers in Hell, che subito evidenzia, insieme alle linee vocali molto aggressive di Igor Rossi, l’influenza dei Down in fase compositiva.

La pioggia battente di Slum, secondo pezzo del disco, ci introduce in una delle composizioni più cupe, caratterizzata da un ritmo più lento e trascinato. Degno di nota il bridge del pezzo, che raffredda le dinamiche, e l’assolo di chitarra, in grado di offrire una svolta melodica al brano, cosa affatto scontata per il genere.

Stesso discorso per Feel the Phantom Pain, pezzo che riprende l’andatura di Slum, ma che non colpisce particolarmente, forse perché sotto l’ombra del brano che la precede. Una nota di merito va comunque fatta alla solistica, che offre una boccata d’aria fresca ad un pezzo forse troppo ripetitivo. Be Divided Be Ruled apre con un groove molto godibile, in pieno stile Pantera, e chiude in bellezza con una sezione decisamente molto più lenta, tanto da ricordare i Crowbar.

Siamo arrivati a metà disco e forse si sente la necessità di un po’ di respiro dal wall of sound: ecco che arriva quindi Stomp on Fire, che con il suo bridge in acustico ed il solo che lo segue, abbassa la pressione sonora a dovere, ma in maniera forse un po’ brusca. Ghost Shadow e Buried Strength offrono interessanti intrecci armonici tra le chitarre, andando a toccare delle dissonanze che danno una buona varietà al riffing sentito fino ad ora.

L’ultimo pezzo del disco, Scars of The Road, si apre con un sound molto southern. Evidente qui l’influenza dei Black Label Society e di Zakk Wylde, complice anche la voce di Igor Rossi, che in questo pezzo è più espressiva che mai. Si chiude così “Buried Strength”, una buona produzione che mostra i denti di una band con uno stampo ben preciso, ma che fatica in certi punti a prendere le distanze dai “giganti” di cui sopra.

Voto: 7

Recensione a cura di Davide Scognamiglio